[aha] "Venerdì 12 ottobre, quattro poliziotti, una poliziotta, un finanziere..."
Edoardo Dell'Acqua
edodellacqua at h2o-cinemavideo.net
Sat Dec 29 00:07:36 CET 2007
Qualcuno bussa alla tua porta. E' lo Stato. Ti porta via dalla tua
famiglia. Da tuo figlio di 14 anni. Ti accusa di aver coltivato delle
piantine di canapa indiana nell'orto di casa. Ti mette in cella. Ti
uccide. Non è l'Argentina dei colonnelli e neppure l'Unione Sovietica
di Stalin. E' l'Italia di Mastella e di Amato. Aldo Bianzino è stato
assassinato in carcere. Ucciso due volte. Prima dai suoi carnefici e
poi dai media che lo hanno ignorato.
La vedova di Aldo si chiama Roberta Radici. Nell'intervista che ci ha
rilasciato ha detto: "Non so cosa pensare dello Stato. Cosa pensare
della giustizia."
Mi chiamo Roberta Radici, vivo sull’Appennino umbro-marchigiano fino a
poco tempo fa insieme
al mio compagno, mio figlio e mia madre di 91 anni.
Una mattina le nostre vite sono state lacerate, come se fosse venuto il
diavolo a bussare alla nostra
porta, la nostra famiglia mutilata in tutti i sensi.
Venerdì 12 ottobre, quattro poliziotti, una poliziotta, un finanziere
con il cane ci hanno chiesto se
avessimo un avvocato di fiducia. Quando abbiamo detto di no, hanno
proceduto mostrandoci un
foglio che li autorizzava a perquisire la nostra abitazione. Quando
hanno visto che non c’era niente
in casa sono andati a guardare nei campi intorno, sempre di proprietà
di Aldo, e hanno trovato
queste piante di marijuana che subito Aldo ha detto essere per il suo
uso personale e che ne
rispondeva lui.
Ci siamo fatti portare via senza chiamare nessun avvocato, anzi ne
hanno chiamato uno d’ufficio
allorché siamo arrivati nel Commissariato di Città di Castello. Da lì
ci hanno portato prima alla
Questura di Perugia dove hanno rilevato impronte e scattato le foto,
facendoci sentire sbattuti come
criminali ma evidentemente è la prassi. Da lì siamo andati insieme al
carcere di Capanne. Ci hanno
subito separati e io sono stata la prima ad essere immatricolata e
portata nel padiglione femminile
dove sono stata messa in una cella con altre detenute.
Sabato 13 ottobre, verso le due è venuto l’avvocato di ufficio che la
Polizia di Città di Castello
aveva chiamato, che con Aldo aveva parlato. Guardandolo negli occhi ho
chiesto: “ma lui come
sta?”. “Beh, sicuramente è una persona che sta vivendo una situazione
difficile, non siete mai stati
coinvolti in una cosa del genere però le condizioni di salute sono
perfette.”
La domenica mattina mi sono svegliata e non mi sentivo bene. E’
arrivata una secondina – o
carceriera non so come definirla – che ha detto “Radici, è desiderata
giù”.
Mi sono seduta, mi ha fatto sedere questo personaggio che mi si è
parato davanti, vestito in
borghese, si è presentato come il vice-ispettore capo. Ha detto: “Io,
signora, stavo andando a caccia
e sono qui apposta per lei”. Mi ha cominciato a chiedere: “suo marito
soffre di svenimenti?”, dico:
“no, perché cos’è successo?” “Signora! Mi risponda! Soffre di cuore? Ha
qualche problema al
cuore? E’ mai svenuto? Forse non lo sa!”. Dico: “Vivo con lui da sedici
anni, non mi risulta per
niente! Ma dov’è Aldo, me lo dica!” “Lo stanno portando all’ospedale
Silvestrini per cercare di
salvarlo. L’hanno già intubato, gli faranno una lavanda gastrica”.
Insomma, ha bofonchiato qualcosa: “Mi dica, lo possiamo ancora salvare!
Chiamo i medici e glielo
dico!”. Al che dico: “Ma no, assolutamente, cosa dice?” “Va bene, torni
su le faremo sapere”.
A mezzogiorno torna la secondina che dice: “Radici Roberta, scarcerata.
Prenda la sua roba”. Io
prendo tutte le cose, scendo e mi ritrovo ancora con il vice-ispettore
capo e un altro personaggio che
non so chi sia ma vestito anche lui in borghese e con l’aria di essere
uno che avesse da fare.
Appena finito di firmare chiedo: “Quando posso vedere Aldo?” e questo
mi ha risposto
letteralmente: “Signora: martedì dopo l’autopsia!”… “COME DOPO
L’AUTOPSIA? Che cosa?”
Il medico legale, che mi ha chiamato, alla presenza mia, dell’ex moglie
di Aldo, delle sue
avvocatesse – dell’ex moglie – e dell’avvocato d’ufficio, quindi
davanti a ben cinque persone, mi
chiese, secondo il mio punto di vista, quali potessero essere le
motivazioni per cui Aldo era stato
ucciso. Risposi che non credevo ci fossero motivazioni… ho pensato a un
pestaggio andato oltre le
intenzioni. Questo signore, il medico legale e non è un mio amico o un
passante e quindi ha tutti gli
elementi per poter fare delle affermazioni non casuali, ha detto: “No,
signora. Questi sono colpi dati
con l’intento di uccidere. Colpi dati scientemente, con una tecnica
scientifica usata anche presso
alcune corporazioni militari, che mirano a distruggere gli organi
vitali senza lasciare traccia alcuna.
Perché non si capisce come mai questo cristiano – così si esprimeva –
abbia il fegato distaccato e
spappolato e da fuori non ci sia neanche un segno, nemmeno sulle
ginocchia a dimostrazione che
non è caduto. In più ha quattro emorragie cerebrali”.
Io non mi fido più di nessuno, non veramente a chi credere. Tutto
potevo immaginare tranne che
una cosa del genere. Non so cosa dire a mio figlio, a me stessa. Non so
cosa pensare dello Stato,
cosa pensare della Giustizia. Mi meraviglio che anche all’interno del
carcere non ci sia stato
nessuno che abbia preso una posizione più seria. Non si sa niente. Muro
di gomma. Omertà
assoluta. Le chiavi non si sa chi le abbia, i videotape sono stati
sequestrati perché erano anomali ma
non se ne sa nulla.
Tutto questo per colpa di nessuno? Colpa dello Stato, che non si
preoccupa nemmeno di scoprire i
colpevoli di una cosa del genere? Io non credo di aver omesso niente di
quello che ho da dire. Le
mie lacrime, la notte, me le tengo io. Sono io che so quello che sto
passando. Non so quello che sta
passando mio figlio. A quattordici anni, quello che si può vedere forse
non lo sa bene neanche lui.
Quanto questa cosa inciderà sulla sua vita. Questo l’ho chiesto al
Pubblico Ministero: “Mi dica cosa
devo dire a mio figlio”.
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