[aha] Approfondimenti e spunti da San Francisco

mariano equizzi marianoe a hotmail.it
Mer 2 Dic 2009 12:40:17 CET


scrive TATIANA:

"Stando qui ho imparato che non serve a nulla scandalizzarsi perche' 
networking, arte e business non sono in antitesi, ma capire cosa esce 
fuori da questo tipo di incontro e collisione. Forse ne puo' uscire un 
mondo peggiore, ma forse - e ho alcuni esempi concreti qui a San 
Francisco - si incontrano persone che cercano realmente di cambiare 
qualcosa, e trovare modalita' di agire in cui ci si senta responsabili 
in prima persona. Con questo sottolineo che qui non si usa la parola 
business per dire "ti fotto e mi tengo tutto", ma viene associata al 
concetto di "innovazione creativa"." 

Sono parole Sante, viviamo in un paese dove Biz = Fottere, non che altrove
non succeda (cavolo se succede), ma non misurarsi cone questa sfida/lavoro,
con questo scenario anche di competizione industriale e tecnologica è vivere nei sogni;
liberissimi di farlo beninteso.
Tatiana sta letteralmente illuminando un approccio
che svincola il movimento da certi dogmi che proprio chi li ha propugnati alla fine
non li ha certo seguiti con fede assoluta.
La tecnologia è potere non è solo liberazione e rivoluzione e spesso in italia
chi finge di detenere questo potere non sa manco tenere il mouse in mano.
e chi sa "tenere il mouse in mano" ha il cervello in blocco seguendo dogmi
che ridisegnati potrebbero invece aiutare anche la più utopica e avanzata delle Cause.

Sono completamente d'accordo con Tat.

Mariano



> Date: Tue, 1 Dec 2009 19:38:37 -0800
> From: t_bazz at ecn.org
> To: aha at lists.ecn.org
> Subject: Re: [aha] Approfondimenti e spunti da San Francisco
> 
> Cara Maya (e cari tutti e tutte),
> 
> ti ringrazio molto per questo feedback, il vero scopo del mio intervento 
> via Skype era proprio quello di sentire come la pensavate e condividere 
> con voi la mia esperienza. Mi rendo conto che era piuttosto tardi e 
> soprattutto, che un argomento del genere meriterebbe di discutere piu' a 
> lungo e soprattutto faccia a faccia. Ma sono sicura di aver lanciato 
> qualche input, l'ho capito dalle reazioni di quelli che ho sentito.
> 
> Una cosa che pero' ho notato dalle vostre reazioni, e' che non e' facile 
> comprendere come sia possibile che qui pratiche hackare e artistiche 
> siano in qualche modo "organizzate" e gestite a livello economico come 
> modalita' di business. All'inizio anche io, venendo da una realta' in 
> cui questa parola e' carica di un significato negativo, ho avuto 
> difficolta' a capire. Ma poi ho cercato di liberarmi dalle categorie sia 
> politiche che culturali che ho sempre usato per interpretare certi 
> concetti, e ho cercato di vedere le cose con altri occhi.
> 
> E' strano, ma ho imparato che il modo di vedere l'hacktivism e 
> l'artivism che noi condividiamo anche in questa piattaforma, e' molto 
> "nostrano". Non sempre all'estero e' possibile interpretare alcune 
> pratiche come politiche. E' una conseguenza di tradizioni sociali e 
> culturali, credo, e di storie diverse.
> Ancora piu' interessante se pensate che molti dei nostri immaginari 
> hacker sono derivati dagli Stati Uniti, ed e' utile scoprire che cio' 
> che e' arrivato in Italia e' stato filtrato da una sensibilita' e 
> approccio particolare, che e' tutto nostro. Per esempio, al di fuori 
> dell'Italia, il Cyberpunk non e' mai stato visto come un fenomeno 
> politico, ma come una corrente letteraria. Invece per noi e' stato 
> fondamentale per interpretare e vivere una serie di pratiche che hanno 
> acquisito un significato di lunga durata. In pochi usano la parola 
> Hacktivism, ma bensi' Hacking. Invece per noi Hacktivism si porta dietro 
> un mondo intero.
> 
> Ovviamente con questo non dico che siamo un caso raro, perche' esistono 
> esperienze analoghe a quella italiana anche in altri paesi, ma direi che 
> questo avviene per gruppi isolati, come per esempio puo' essere 
> NoiseBridge qui a San Francisco, oppure il defunto Bootlab a Berlino, 
> oppure il circuito degli Hackmeeting in Spagna.
> Ma un approccio politico forte come il nostro, e che crea un immaginario 
> cosi pervasivo, sinceramente non l'ho incontrato piu' fuori dall'Italia. 
> Ho avuto modo di discutere su questo con molta gente: qui a San 
> Francisco, in Germania, in Danimarca e in Svezia. Molte delle realta' 
> hackare fra Germania, Svezia e Danimarca si definiscono strettamente 
> a-politiche: e questo l'ho incontrato nel Chaos Computer Club di Berlino 
> (forse quello di Monaco e' diverso?), nel Pirate Bureau svedese e fra 
> altri hackari in Danimarca. Il punto e' che per molte di queste realta', 
> che preferiscono definirsi "anarchiche" piuttosto che "politiche", la 
> politica e' vista come una muffa ideologica che relegano nelle stanze 
> dei bottoni.
> Per noi invece anche anarchia e' una forma di politica.
> 
> Ho visto reazioni simili pronunciando la parola "politica" associata a 
> contesti hackari a quelle che alcuni di voi hanno avuto quando ho 
> pronunciato la parola "busines" associata ai medesimi.
> Forse questo ci spiega che e' prima di tutto e' una partita giocata a 
> livello semantico, ma ovviamente e' anche lo specchio di profondi 
> background sociali e culturali (e politici, ovviamente).
> 
> Quello che ho cercato di comunicare con il mio intervento, e' che non 
> serve a nulla interpretare il mondo con delle categorie rigide. Perche' 
> in fondo le categorie di pensiero sono solo un modo per organizzare 
> degli eventi caricandoli di concetti preconfezionati, che esistono solo 
> nella nostra mente o in quella del nostro gruppo. Il punto e' capire 
> come funziona il gioco, e agire per arrivare a degli obiettivi che 
> rispecchiano realmente il nostro sentire, che poi possono essere 
> realmente applicati nella vita quotidiana.
> 
> Stando qui ho imparato che non serve a nulla scandalizzarsi perche' 
> networking, arte e business non sono in antitesi, ma capire cosa esce 
> fuori da questo tipo di incontro e collisione. Forse ne puo' uscire un 
> mondo peggiore, ma forse - e ho alcuni esempi concreti qui a San 
> Francisco - si incontrano persone che cercano realmente di cambiare 
> qualcosa, e trovare modalita' di agire in cui ci si senta responsabili 
> in prima persona. Con questo sottolineo che qui non si usa la parola 
> business per dire "ti fotto e mi tengo tutto", ma viene associata al 
> concetto di "innovazione creativa".
> Il tutto sta a capire cosa questo atteggiamento porti in realta', e cosa 
> si sta realmente costruendo, ed e' uno dei punti chiave della mia 
> ricerca. Puo' portare a una nuova bolla economica, ma ogni tanto si 
> incontrano delle persone che fanno cose con reale entusiasmo e credono 
> veramente che stanno agendo per cambiare qualcosa.
> 
> Per quanto riguarda Burning Man (BM): sono d'accordo con chi dice che 
> ormai ha fatto il tempo che trova, considerate che e' nato nel 1986! 
> Ovviamente l'esperienza e' diventata altro da una pratica artistica 
> utopica. Ma non sono d'accordo nel definirlo "una mascherata". E' un 
> evento che e' carico di immaginari: andare nel deserto non significa 
> scappare, ma cercare di fare un viaggio verso una "zona autonoma" - 
> almeno all'inizio e' stato visto cosi dall'incontro dei primi burners e 
> dalla cacophony society; avere dei costumi non significa fare una 
> carnevalata, ma applicare in qualche modo una modalita' surrealista di 
> rendere non familiare il familiare; e il fatto che sia un rito 
> collettivo, collegato al fuoco, ha tutta una serie di connessioni con 
> riti pagani che qui a San Francisco sono molto importanti (si veda il 
> libro Modern Pagans pubblicato da Re/Search).
> 
> Se vogliamo chiaramente chiederci cosa significa BM oggi qui in 
> California, e' un altro punto.
> Sicuramente ci sono eventi piu' genuini, ma BM ha segnato un'epoca - e 
> infatti anche il Water Woman Project e' nato li' e si ispira a BM. Qui 
> ancora molte persone si definiscono Burners. E il punto e' che vedono un 
> evento del genere non solo come "partecipo a un festival", ma come "io 
> SONO il Festival". Loro si sentono burners, e' un evento che richiede 
> una preparazione di molte settimane, per molti un anno intero.
> BM esiste ancora dopo piu' di 20 anni e quest'anno erano in 50.000. Si 
> e' sicuramente commercializzato, ma avere la forza di attirare 50.000 
> persone nel deserto senza cibo e acqua e' una vittoria.
> In quanti dei nostri eventi ci sono 50.000 persone concentrati in uno 
> stesso luogo per una settimana? (un luogo estremo, poi!) Secondo me e' 
> su quello che dobbiamo riflettere. Cosa puo' fare la differenza?
> 
> Poi magari non ce ne frega nulla di essere in 50.000 e mi sembra anche 
> positivo essere in pochi ;-) ma il tutto sta nell'essere consapevoli di 
> cosa si vuole e di dove si vuole arrivare. Ma per fare questo, credo che 
> ci voglia prima di tutto uno sforzo di umilta' nell'andare fuori di casa 
> e cercare di capire chi e' diverso da noi...
> Per cui non mi sento ancora di giudicare chi sto incontrando.
> 
> Un abbraccio,
> 
> T_Bazz
> 
> 
> 
> 
> 
> 
> 
> 
> 
> maya wrote:
> > ciao tatiana,
> > ti scrivo qui perchè ieri sera ero davvero stanca e non ce l'ho fatta ad
> > intervenire.
> > 
> > Dunque, il mio contatto con la realtà di cui tu ci hai parlato è iniziata
> > già durante
> > il *to share* di quest'anno dove ho avuto il piacere di ospitare un artista
> > di San Francisco.
> > Con lui ho avuto modo di parlare molto sulla realtà della california.
> > E già parlando con lui e confermato poi da il tuo intervento ieri, ho
> > incontrato
> > questa sostanziale differenza nell'intendere la parola bussiness.
> > Dal creare e presentare un proprio sito personale a parlare di tematiche
> > artistiche ed attiviste.
> > Ed è veramente così, ovvero che il bussiness e coloro che si occupano di
> > attivismo
> > non risultano in antitesi.
> > Non credo di comprendere completamente questo tipo di approccio, perchè lo
> > trovo molto
> > distante per lo meno dalla mia esperienza ma questa cosa senza dubbio c'è
> > e la vedo coesistere e se non altro mi spinge ad osservara con una certa
> > curiosità.
> > 
> > Mentre a quanto ho capito per una grande fetta di artisti-attivisti
> > californiani il burning-man
> > non è visto di buon occhio, almeno cosi mi ha detto Pete quando ho
> > manifestato il mio interesse a
> > ad andarci un giorno e lui mi ha fortemente sconsigliato di farlo parlandomi
> > di altri festival (di cui
> > sinceramente non ricordo il nome) dicendomi che il burning man non era più
> > un festival "serio"..
> > 
> > Mi ha molto colpito quando hai detto che a San Francisco va per la maggiore
> > il party in costume,
> > e che la trovi una città estremamente performativa.
> > Penso ad una Miranda July, che rende le piccole cose della vita quotidiana
> > una performance e che essendo
> > proprio californiana forse ne è un esempio.
> > E ti chiedo quali sono le diversità e i punti di contatto che hai potuto
> > osservare nelle varie
> > città in cui hai vissuto, specialmente legata a questo modo performativo di
> > vivere gli spazi
> > e (forse) di creare network.
> 
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