[aha] Fwd: [uniriot] LA RIVOLTA DI TORINO - articolo sul Manifesto / SULLA FORZA DELL'ONDA - editoriale Uniriot
agne se
aaagneees at gmail.com
Thu May 21 11:18:17 CEST 2009
Inoltro contributo di Uniriot a seguito delle giornate di torino contro il
g8 University Summit.
*Editoriale uniriot.org e articolo sul Manifesto 21/05*
La rivolta di Torino
<http://www.uniriot.org/uniriotII/index.php?option=com_content&view=article&id=540:la-rivolta-di-torino-&catid=87:editoriali&Itemid=281>
L'Italia è davvero un paese insopportabile e questo non tanto perché a
governarlo c'è una solida maggioranza razzista e neocon, una maggioranza
radicata nel tessuto produttivo, imbattibile nella scena mediatica, ma
soprattutto per la mediocrità della sua opposizione. Un'opposizione senza
coraggio né passioni. Basta leggere i giornali di oggi, meglio la
Repubblica, o leggere le dichiarazioni di Franceschini per fare questa breve
considerazione.
Quando sono esplosi gli studenti greci, al seguito dell'omicidio del povero
Alexis, Ilvo Diamanti ha scritto per Repubblica analisi per nulla banali sul
tratto comune della nuova generazione in lotta: dalla Francia all'Italia,
dalla Grecia alla Spagna - parafrasando le parole di Diamanti - una
generazione estranea al patto sociale alza la testa e pretende di riavere
indietro il futuro che la precarietà le ha sottratto. Nelle scorse
settimane, mentre in Francia venivano sequestrati i manager, Bernardo Valli
ha dedicato pagine importanti all'anomalia d'oltralpe.
Il radicalismo francese è una sorta di modello da coccolare per la sinistra
italica, sempre utile per ricordare a Berlusconi che anche la destra neocon
più raffinata, quella di Sarkò, è tutt'altro che al sicuro. Poi Londra e
l'assedio della City: per la prima volta capita di leggere Ezio Mauro e
Massimo Giannini che si spingono a giustificare la rabbia anti-banche. Certo
entrambi condannano la violenza, ma ratificano la necessità di un nuovo
patto sociale contro la crisi. Aggiungo infine un elemento non marginale.
L'Italia è un paese in cui le sue sinistre celebrano da quasi mezzo secolo i
fasti del sessantotto studentesco. Un sessantotto senza operai e senza
rivoluzione, indubbiamente, educato e pieno di buona società, comunque anno
straordinario e senza pari. Nel sessantotto romano spicca un'esperienza che
nessun politico della sinistra italica ha mai ripudiato: Valle Giulia.
Quanto accaduto ieri a Torino non si discosta molto, nella sostanza
materiale, dai fatti di quarant'anni fa, così come, seppur con molte
differenze, dalle rivolte greche e francesi. Ma ripercorriamo, fuori dalle
menzogne giornalistiche, gli eventi torinesi. Almeno 10.000 studenti si
mettono in corteo, giunti da tutta Italia, oltre che dalle facoltà torinesi.
Desiderio condiviso da tutti è quello di violare la zona rossa, per dire
basta a città militarizzate e per opporsi alle riforme universitarie.
Migliaia di studenti dell'Onda hanno messo da parte la paura, quella propria
della solitudine, e con il coraggio intenso dell'esperienza collettiva hanno
provato a camminare, nonostante la polizia in assetto antisommossa cingesse
d'assedio il castello del Valentino. Scudi di plexiglass e caschi a
proteggere la propria testa dai tonfa. Poi le cariche, già violente il
giorno prima. Manganelli, ma soprattutto tanti lacrimogeni, quelli al Cs di
genovese memoria, come Mortola. Poi la difesa, agita tutti assieme, senza
alcuna separazione tra buoni e cattivi. Immediata la gestione giornalistica:
no global e violenti prendono l'Onda in ostaggio. Corriere e Repubblica
sostanzialmente omogenei, per la prima volta da settembre.
Occorre dirlo a voce alta, in questo paese di razzisti e codardi, ieri
migliaia di studenti dell'Onda hanno alzato la testa, nei confronti di chi
alla contrattazione sociale ha sostituito l'autoritarismo. Dopo mesi di
lotte gli studenti italiani hanno ricevuto porte chiuse e manganelli. Da che
parte sta la violenza, quella vera, quella del potere cieco e sordo? Ieri a
Torino c'era solo indignazione, forte e ragionevole.
*
Francesco Raparelli, Dottorando di ricerca in Filosofia politica*
*articolo in uscita domani 21 maggio sul Manifesto *
* *
<http://www.uniriot.org/uniriotII/index.php?option=com_content&view=article&id=541:la-governance-universitaria-e-una-tigre-di-carta-sulla-forza-dellonda-e-la-violenza-della-crisi-&catid=87:editoriali&Itemid=281>La
governance universitaria è una tigre di carta. Sulla forza dell'Onda e
la
violenza della crisi<http://www.uniriot.org/uniriotII/index.php?option=com_content&view=article&id=541:la-governance-universitaria-e-una-tigre-di-carta-sulla-forza-dellonda-e-la-violenza-della-crisi-&catid=87:editoriali&Itemid=281>
*Editoriale Uniriot* - Che i media non siano più semplicemente al servizio
della politica ma facciano politica, è ormai una verità assodata. Ma che
perciò debbano anche farsi rappresentanti della genuina essenza di chi si
oppone allo stato di cose presenti, ovvero dei movimenti, questo è un
elemento nuovo. Così, dal Corrierone nazional-aziendale alla Stampa, nota
"busiarda", nel grande spazio conquistato dalle mobilitazioni contro il G8
di Torino i giornalisti non si limitano ad evocare i triti spettri maroniani
del terrorismo e dunque ad invocare la mano pesante contro gli studenti, in
quella spirale di "fobia anti-giovani" descritta da Lucia Annunziata proprio
sul quotidiano di casa Fiat: si fanno interpreti del vero significato
dell'Onda, tradito dal corteo del 19 maggio. Si mostrano addirittura
dispiaciuti nel dover chiamare Onda quella manifestazione. Arrivano perfino
a dichiarare una qualche proprietà sul logo, tale per cui possono attribuire
l'etichetta a chi ne proseguirebbe il vero spirito: quello della proposta e
non della protesta, della sostenibilità e non dell'incompatibilità, della
rappresentanza e non dell'autonomia. Poco conta se i "buoni" sono poche
decine e i "cattivi" molte migliaia. Nelle forme della produzione
contemporanea, si sa, non c'è più misura. E, soprattutto, non c'è nessun
imbarazzo a parlare nel nome di un'Onda astratta e disincarnata, per poter
controllare e reprimere quella reale.
Già, perché questa è la grande vittoria della mobilitazione di Torino. Aver
finalmente messo a tacere chi da mesi si affanna a parlare di riflusso e di
fine di un ciclo, con l'unico obiettivo - nella classica veste della
profezia che si autoavvera - di poter scongiurare il pericolo e catturarne
il portato politico nei meccanismi della rappresentanza. Ma lungi dalla
risacca, negli ultimi mesi l'Onda ha sedimentato i percorsi di
autoformazione e costruito l'autoriforma, cifra paradigmatica di una nuova
università. Sarebbe bastata un'occhiata all'età media estremamente bassa
della composizione del corteo di Torino, con i molti studenti medi e dei
primi anni di università arrivati da tutta Italia, per rendersi conto che
autoriforma e conflitto non solo non sono alternative, ma sono una la
condizione di possibilità dell'altro.
Ma chi esaurisce gli argomenti, è spesso costretto alla menzogna. A cui si
aggiunge l'imbarazzo, in alcuni media di sinistra, per un'Onda che non si fa
ridurre al vuoto simulacro dei buoni sentimenti, per incarnarsi invece in un
desiderio collettivo e in un processo di lotta. Che rifiuta il ruolo di
vittima, e afferma l'autonomia nel decidere sul proprio presente e sul
proprio futuro. Che, in migliaia, resiste alle cariche di polizia e
carabinieri, e compattamente e gioiosamente torna all'università per
continuare a praticarvi l'autoriforma. E perché non soffermarsi, ad esempio,
sui tanti abitanti di Torino che hanno lanciato dai balconi acqua e limoni
ai manifestanti per proteggersi dalla pioggia di lacrimogeni, e hanno aperto
i portoni per offrire loro rifugio dalla brutalità vendicativa della
polizia? Non si tratta di simpatia verso la "meglio gioventù": è la
percezione di una crisi che è solo all'inizio, della fine di ogni illusione
di mobilità sociale ascendente, dell'intollerabilità dell'ulteriore attacco
ai salari e ai redditi di lavoratori e precari per salvare imprenditori,
baroni e banchieri. È il rifiuto della politica dei sacrifici. È la forza
dell'Onda Anomala: farsi terreno comune di una composizione sociale che non
vuole pagare la crisi.
Ecco, è questo che spaventa governo e media di fronte a questo nuovo
proletariato intellettuale: la capacità di parlare la lingua della
parzialità e della generalizzazione. Ed è questo che spaventa l'opposizione,
che pervicacemente persevera negli antichi errori che l'hanno portata nel
coma vegetativo in cui oggi versa. Così, il Pd piemontese esprime la sua
solidarietà alle forze dell'ordine, incurante del fatto che a guidarle fosse
Spartaco Mortola, uno degli impuniti carnefici dell'irruzione alla scuola
Diaz il 21 luglio 2001, promosso a questore vicario di Torino. Se
l'opposizione vuole parlare di regime berlusconiano, abbia il coraggio di
dire che la sua data di inizio non è la corruzione di Mills o la candidatura
delle veline, ma il sangue di Genova. È quella la violenza da cui devono
avere il coraggio di prendere le distanze, quella stessa violenza che Maroni
e Pdl usano nei rimpatri dei migranti. La violenza di un sistema tanto più
feroce quanto più è assediato in un castello medioevale. Se non troveranno
questo coraggio, foss'anche quello della disperazione, dopo aver consegnato
il governo del paese nelle mani della Lega e di Berlusconi sono destinati a
sparire.
E quelle file e file di caschi che gli studenti avevano?", chiederà
sicuramente un bravo giornalista. C'è una legge dello Stato che ne impone
l'obbligo per salvarsi la vita, e fronteggiare le cariche selvagge e il gas
CS delle truppe di Mortola è sicuramente più pericoloso di qualsiasi
scooter. Ma con quei caschi le migliaia di studenti e precari a Torino hanno
difeso qualcosa di ancora più importante: non la democrazia di cui si
vorrebbe affidare ai giudici la restaurazione, ma la democrazia che l'Onda
sta inventando e praticando. Quella che parla di nuovo welfare, di reddito,
di riappropriazione della ricchezza sociale. Prendere le distanze dalla
violenza, significa appoggiare la forza costituente dell'Onda. Tutto ciò
prima che - almeno per loro - sia troppo tardi.
*
Gigi Roggero*
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