[aha] architettura, innovazione e qualche sconfitta

franca.formenti3 franca.formenti3 a libero.it
Mer 22 Set 2010 00:38:22 CEST


architettura ,innovazione e 
ISTRUZIONE!
http://giornaleitaliano.info/gelmini-studenti-“soldato”-nei-licei-impareranno-a-sparare-il-declino-inarrestabile-della-scuola-italiana-3146




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To          : "List on artistic activism and net culture" aha a lists.ecn.org, hackmeeting a inventati.org
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Date      : Tue, 21 Sep 2010 23:45:13 +0200
Subject : [aha] architettura, innovazione e qualche sconfitta







> Ho un problema.
> Oggi siamo andati all'Acquario Romano, la sede dell'Ordine degli Architetti
> di Roma, alla presentazione/lancio di CitiVision Mag, un freepress di
> architettura molto bello, con un occhio particolarmente attento ai progetti
> degli architetti più giovani e con il preciso e dichiarato intento di
> tentare di alzare il livello della discussione sull'architettura
> contemporanea a Roma, e di trasformarla in un dialogo più internazionale.
> Se da un lato ammiro molto l'impostazione del progetto e l'atteggiamento con
> cui gli organizzatori lo pianificano ed eseguono, dall'altro sono rimasto un
> po' atterrito dalla lecture dell'invitato principale.
> Non ho nulla contro di lui, ovviamente: esprime dei concetti interessanti,
> seppur molto centrati sulla forma. E l'inizio della sua presentazione è
> stato anche molto interessante, con le sue analisi sul linguaggio degli
> spazi pubblici e privati.
> E' solo che pian pianino, durante la conferenza, veniva insinuato nella
> discussione un assunto che, per quel che penso e sento, non è per nulla
> scontato. Piano piano, tra le descrizioni di un progetto e l'altro, emergeva
> una tensione verso il futuro, verso l'innovazione, verso "l'opportunità" che
> era incentrata su immaginari utopici e, a tratti, degni dei più sfarzosi
> faraoni dell'antico Egitto.
> Venivano presentati progetti grandiosi, con cantieri sterminati che duravano
> 5-6 anni, con centinaia di camion che trasportavano "robe" gigantesche. Era
> inevitabile scivolare verso visioni di schiavi che tirano enormi blocchi di
> pietra per costruire piramidi.
> Questi grandi progetti, a New York, in Germania, a Valencia e in tanti altri
> posti, venivano presentati candidamente come le dimensioni più avanzate
> della ricerca contemporanea, come le utopie che, creando meraviglia,
> liberando l'immaginazione e "usando anche la dimensione di gioco
> dell'Architettura", potevano modellare gli immaginari, creare visioni sul
> futuro e, quindi, opportunità.
> Ma davanti agli occhi c'era una persona che presentava fiero delle immagini
> di cantieri enormi, con centinaia di migliaia di pezzi di impalcatura tirati
> su per costruire curve azzardate fatte di dozzine di strati di materiali
> differenti, che contrattava tra istituzioni e corporation globali del
> cemento, dell'acciaio, del legno per costruire cose enormi in grado di "far
> fare una passeggiata suggestiva in cima alla città, di mangiare in un buon
> ristorante con una vista incredibile, di creare delle zone coperte e di
> ombra - presupposto fondamentale per la fruizione dello spazio pubblico -,
> creando tre livelli di utilizzo e interpretazione del territorio".  (cito a
> memoria e in ordine sparso: mi scuserà l'architetto se sbaglio qalcosa, e si
> senta pure libero di correggere, ovviamente)
> E, oltre ogni "ministero dell'amore" di orwell, venivano anche decantate le
> caratteristiche di ecologia e sostenibilità delle produzioni
> architettoniche.
> Ora: lo so. Le utopie *possono* essere utilizzate per creare immaginari, per
> stimolare la fantasia, per abilitare la "fuga" che spesso permette di avere
> nuove idee. La meraviglia, la suggestione, l'"eccezionale" serve. Perchè se
> abito in un cubo di pietra e ne esco solo per andare a lavorare in un altro
> cubo di pietra, muoio. E quindi le cose eccezionali hanno un loro uso:
> possono essere utilizzare per riinventare la realtà, creando visioni e spazi
> di espansione.
> Ma proprio non riesco ad identificare queste cose faraoniche con una via
> praticabile. Mi sembrano più oggetti del potere. Le suggestioni che mi fanno
> venire in mente sono quelle che rigurdano come l'architetto, in quel
> momento, si debba sentire una specie di semi-dio, con tutti quei camion,
> quei materiali, quelle enormi travi d'acciaio che si innalzano al cielo,
> proprio come le ha disegnate, o come le ha fatte disegnare ai suoi
> collaboratori, comunicando loro la sua visione. Mi viene in mente quanto
> costino questi oggetti. Quanto siano ogegtto di potere queste enormi cifre.
> Quanto siano oggetto di contrattazione tra professionisti, istituzioni,
> costruttori, politici, sindacati. E quanto siano belli nel disegno, ma di
> come sia poi ben più misera la realtà, fatta di lavoratori in tuta arancione
> e casco giallo, di stagisti che lavorano gratis, di poveracci con carta di
> credito che provano a rimorchiare portando veline a mangiare aragosta in
> cima ad un blob enorme a forma di fungo, e di come siamo cambiati poco nelle
> nostre aspirazioni.
> Ecco: superuomini, in grado di avere potere, che si esprime con questi
> enormi "cosi".
> Non che non siano belli o interessanti, ripeto. Sono interessanti come usano
> il software, come usano i nuovi materiali, come riescano a rendere reali
> cose che prima non c'erano e possibili cose che si immaginano dopo aver
> visto il "coso".
> Non mi sembra un "dibattito contemporaneo", questo. Non mi sembra, perchè ci
> sono cose più fondamentali nel contemporaneo, cose che hanno più la
> caratteristica di essere "nodi". E riguardano probabilmente maggiormente
> l'ambiente, il lavoro, il debito, e l'identificazione di modelli che creino
> un po' di sostenibilità e che, con tutta probabilità, non sono grandi come
> quei "cosi", ma sono più piccoli, autonomi, mobili, "attorno" alla persona,
> empatici e temporanei. Mentre invece queste utopie sono proprio il
> contrario.
> La cosa che mi colpisce di più, oltretutto, è collegata al linguaggio. Che,
> come al solito, è "al contrario". Ma a questo siamo abituati, no?
> "Innovazione" vuol dire mantenere lo stato delle cose, "futuro" vuol dire
> passato, "sostenibilità ed ecologia" vuol dire fare un cantiere gigantesco
> che dura 6 anni per produrre un mostro gigantesco con un pannellino solare
> sopra, "dialogo" vuol dire avere amici nei posti giusti per poter
> contrattare committenze ciclopiche, "cambiamento" vuol dire solo velocizzare
> l'impresa diminuendo la burocrazia.
> La cosa più violenta la subiscono, come al solito, gli studenti, cui vengono
> inculcati questi immaginari, come simbolo del successo.
> 
> Salto in avanti: dall'altra parte, all'Opificio Telecom, c'era un incontro
> sul "futuro di internet". Si parlava di App, le applicazioni per i
> dispositivi mobili che stanno trasformando così rapidamente il mercato di
> come si usa internet ed i suoi servizi.
> Le App sono molto belle, divertenti, accessibili e usabili. Hanno delle
> belle interfacce. Sono divertenti, emozionanti, eccetera, eccetera,
> eccetera.
> Ma hanno un enorme problema: eliminano la trasparenza dei protocolli di
> internet, mettendo tutto in mano al service provider, sia dal punto di vista
> di chi gestisce il marketplace delle applicazioni, sia da chi le
> applicazioni le fa e commercializza.
> Vuoi il servizio? Scaricati l'applicazione e fregatene di come funziona, di
> come gestisco le informazioni, di come gestisco la sicurezza, di quanto ti
> spio te e i tuoi amici. Non c'è standard. Se usi 10 app vuol dire che, in un
> modo o nell'altro, hai firmato 10 contratti su come gestire i tuoi dati,
> tutti differenti, tutti scritti in linguaggi che non capisci, tutti testi
> che non leggerai mai. E poi: fine della libertà di navigazione e di uso
> delle risorse di internet, fine degli standard e protocolli aperti: con le
> app torna tutto in mano ai service provider. Altro che innovazione: torniamo
> ai deliri di America Online.
> 
> Questo grande incontro è stato presentato nell'ambito dei programmi di
> telecom italia sulle culture digitali. In dei luoghi quindi in cui si parla
> di innovazione e di opportunità.
> Se ci fate caso sia questo che quello prima son due problemi
> "architettonici". Di tipo differente. Di due architetture che si
> compenetrano, nella città, tra cemento e informazioni.
> Proprio mentre Bernabè, da un lato, annuncia che la super-rete wireless
> Telecom se la farà da sola, e deciderà da sola come/quando/cosa farà come
> servizi, perchè "è sua responsabilità".
> E mentre continua la buffonata (che però funziona: attenzione! anche se non
> lo dovesse vincere, il progetto ha creato quel che doveva creare...) del
> Nobel per la Pace ad Internet.
> Proprio mentre continua il fiorire di iniziative di origine "corporate"
> sull'imprenditorialità alla californiana, con tutti gli immaginari che ne
> conseguono e senza le delicate alchimie che lì la stanno facendo funzionare
> (per ora), con tutti gli incubatori di impresa che ne conseguono (qui).
> 
> Altra cosa in comune: tutte queste iniziative sono iper-frequentate. In
> qualche modo stanno tutti "a caccia". Vogliono inventare la prossima
> killer-app, il prossimo social network. Proprio come vogliono diventare i
> prossimi archi-star.
> 
> Senza pensare, però, che quelli che raggiungono quei ruoli sono ben lontani
> dall'utopia, ed agiscono non nel modo "ingenuo", puro ed accessibile che ci
> mostrano con la "visione", ma con ben più rodate abilità contrattatorie, a
> suon di bilanci, investimenti incrociati, accordi fatti al ristorante,
> strette di mano, e compromessi.
> 
> Questo sfasamento del linguaggio concorre a creare la scomparsa della
> rivolta, della reazione e, quindi, della reale innovazione e trasformazione.
> 
> 
> In definitiva: cos'è l'innovazione, il cambiamento, la rivolta, la
> trasformazione e la reinvenzione quando a definirne estetiche, modalità,
> opportunità, ambizioni ed immaginari è un costruttore, una corporation o un
> venture capitalist?
> 
> bacieabbracci
> xDxD
> 




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