[aha] architettura, innovazione e qualche sconfitta
iechieri a libero.it
iechieri a libero.it
Gio 30 Set 2010 14:32:23 CEST
Ciao xD,
il tuo discorso non fa una piega e mi trovi perfettamente in linea...
ora, forse vado a finire in un estratto del tuo discorso, che è molto più
articolato,
ma c'è una parte che mi è interessata particolarmente...
Le interfacce, che sia quella di un oggetto, quella grafica, quella software,
quella politica, quella architettonica ecc. ...
siamo d'accordo che hanno tutte una stessa funzione:
la mediazione tra l'oggetto e il suo uso.
Come se dicessero: "ti dico io come usarmi"
Quello che ti volevo chiedere, come è possibile secondo te andare oltre
l'interfaccia per raggiungere
l'essenza dell'oggetto e diventarne in qualche modo padroni, o almeno per non
esserne sopraffatti?
Chiaro lo skateboarding come l'hacking come il pranking svolgono questa
funzione:
giocare con gli oggetti in modo insolito (tanto per banalizzare...)
e questo determina la vera forma di pensiero che permette di vedere le cose
per come non appaiono.
Ma c'è una cosa... la riappropriazione della cultura dominante delle forme
alternative
è sempre dietro l'angolo, e l'elastico che tiene strette cultura e
controcultura
le fa rimbalzare sempre più velocemente tra di loro.
In tutto questo c'è una funzione, chiaramente e per fortuna.
Mi piace molto squatting supermarket proprio perchè ha questa volontà
disvelatoria...
non guardo l'etichetta, ma cosa ci sta dietro.
Nel mio ideale utopico vedrei le persone essere in grado di andare oltre
l'interfaccia
e raggiungere una consapevolezza.
Ma ora sposto il discorso dalla narrazione delle dinamiche
sociali/etiche/capitaliste al discorso del materiale.
Il materiale grezzo si presenta per come è... non ha il bisogno di una
spiegazione,
se non quella che io soggetto mi posso dare se non ho nessuna
costruzione/costrizione mentale/culturale.
In questa condizione (passatemi il temine) anarco-cognitiva, chiunque sarebbe
veramente e utopicamente
libero nelle scelte personali, sociali, politiche.
Situazione irrealizzabile, certamente, ma mi sembra un percorso, se non altro
interessante.
Alessio
Il 29/09/2010 11:57, xDxD.vs.xDxD ha scritto:
> nel leggere il messaggio di kilroy mi si stampava sempre più una strana
espressione in volto. perchè è stupefacente come il "problema" sia completmente
"cross-mediale".
> Il progetto_architettonico_come_un_discorso è completamente parallelo a
quello che avviene (dovrebbe avvenire? in teoria avviene?) nella progettazione
di un sistema web (vecio, 2.0, 3.0, o 32.0chetipare). Tant'è vero che, ad
esempio, anche lì la gestalt viene usata a piene mani, nell'applicazione dei
vari principi e regolette per progettare quelli che sono i "visual task" che
ogni interfaccia che si rispetti dovrebbe suggerire.
> C'è da dire una cosa (e poi procedo con il discorso che m'ha fatto bruciare
il cervello): che in realtà questo è uno dei grandi nodi del "digitale". Se da
un lato questa analisi di quel che produci quando stai producendo un sito web
(ancor più significativo se stai progettando, ad esempio, una cosa che poi
useranno milioni di persone) è presente, in qualche modo manca troppo spesso la
"cultura" dietro le osservazioni cognitive che si possono/devono/dovrebbero
fare quando si progetta un'interfaccia. E' il discorso dei corsi che in giro
per il mondo si chiamano "Computer Arts": sono una preparazione alla catena di
montaggio, non c'è "filosofia", anche se poi gli studenti si trovano ad
applicarne le "conseguenze". Della "filosofia" di altri, quindi, del "maestro",
dell'iper-progettista-zen-elargitore-di-koan.
> E questo avviene per più motivi. Innanzitutto perchè non è comune che chi
studia (o impara da sé) come si progetta un sito web (semplifico) sia in un
ambiente culturale che ritenga "importanti" le declinazioni tecnico-
psicologiche-filosofiche di quel che stanno facendo. La dimensione "filosofica"
del web design è molto collegata alle psicologie corporate (e così anche i
fondi delle scuole che ti preparano a questa catena di montaggio). In queste
avvengono dei giochini strani, l'analisi "approfondita" avviene solo ai vertici
(se avviene) e verso il basso vengono proiettate solo delle necessità, dei
requisiti, delle specifiche, che perdono ogni contatto con quelle che
potrebbero essere delle visioni più olistiche. Non è detto, in teoria, che uno
che fa un sito web debba essere un tecnico e basta. Anzi, sarebbe interessante
il contrario. Perchè una interfaccia si costruisce proprio come un discorso.
> Che ne so: parlando della gestalt, il processo omeostatico spesso giunge
allo "studente" come nozione smembrata e priva di ogni visione: viene
riassemblata in una manciata di regolette sull'uso degli spazi vuoti, delle
disposizioni, della prossimità, del colore eccetera, ma non ne viene dato un
racconto completo. Che c'è, invece nel progettista "illuminato". O,
paradossalmente, anche nel venture capitalist (o soggetto economico forte di
altro genere, come succede spesso per esempio negli USA dove magari ti trovi il
preside della facoltà che è anche l'Angel Investor più trendy del momento).
> Ecco che ritornano i koan, il misticismo, i maestri eccetera.
> Questo avviene secondo più direttive, perchè, come per l'architettura, un
servizio web (continuo a semplificare parlando solo del web, ma il discorso
vale benissimo anche per altri ambiti, per semplice sostituzione di parole)
descrive un "luogo", e le cose che le persone fanno in un luogo. La percezione
di questo fatto è netta, definita: *vado* su facebook; *vai* sulla mail; ieri
*sono andato* su friendfeed. E la progettazione di "luoghi" non è un lavoro
omogeneo, perchè sui luoghi ci sono tante stratificazioni differenti.
> Progettare un luogo è, appunto, un discorso, che descrive il luogo, il
perchè/percome del luogo, l'immaginario che porta da un lato alla creazione del
luogo in quel modo e dall'altro all'idea del perchè le persone che lo useranno
dovrebbero ritenerlo in qualche modo positivo.
> Rimanendo sul web c'è l'aspetto tecnico (ingegnere), dell'informazione
(architettura dell'informazione), estetico (graphic designer), di interazione
(interaction designer), di esperienza (experience designer) eccetera eccetera,
secondo come classifichi le varie competenze che possono entrare in ballo.
Stesso discorso si può fare per i servizi, per le lavatrici (beh, forse un po'
meno) e per le architetture.
> Questo smembramento, assoggettato di solito alle logiche delle grandi
aziende, causa degli effetti. Che sono un po' da nazi: "sto solo facendo il mio
lavoro" disse l'ufficiale delle SS.
> E, per chi ha sempre pensato, in fondo, che il caro ufficiale delle SS, in
finale, poteva anche farsi i cazzi suoi, invece che andare in giro e fare quel
macello, c'è da dire che l'immersione dentro un immaginario progettuale di un
certo tipo ha degli effetti devastanti, perchè forma il tuo desiderio, quello
che ritieni possibile/fattibile, le tue aspirazioni, il tuo senso di cosa è
bello/brutto. Quando ti raccontano la "storiella" sei fottuto, se te la
raccontano con mestiere.
> Questa sarebbe una cosa anche molto interessante da chiedere a chi si occupa
di p2p design, per esempio, perchè se il p2pD è molto interessante sulle
pratiche, io non so quanto affronti anche quello che viene "prima" delle
pratiche, ovvero l'apprendimento. (ma dopo ci torno su con il discorso sulle
"conferenze").
> Tornando ai nostri produttori di siti/luoghi/architetture, ci sono quindi
molti ruoli assai differenti. Tra questi c'è quello della dirigenza. La
presuntuosetta (e dotata di sciarpe fantastiche) Zaha Hadid non fa
l'architetto. Fa un altro tipo di mestiere.
> Proprio come, che ne so, James Cameron non fa il regista.
> E' un altro tipo di mestiere. E' il mestiere di dispensare visione ed
immaginario, e di tramutarli da un lato in produzione su una strana catena di
montaggio (e magari metterci su anche un paio di brevetti), e dall'altro di
tramutarlo in comunicazione, relazioni, accordi, e flussi economici.
> E l'autorità, fondamentalmente è questa.
> Infliggere visioni ed immaginari sulla base della propria capacità di creare
comunicazione, relazione, accordi e flussi economici. E chissà (bug!) da dove
viene questa capacità. In qualche modo è anche una buona definizione di
"Design", "Architettura" e "Progettazione".
> Questo è un "buco". E' un qualcosa di non detto. E' un qualcosa di non
spiegato. E' politico.
> Perchè una grande parte dell'immaginario è proprio il "nascondere" da dove
viene, come si forma e come si attua questa capacità. (e non è detto che mi
piaccia, appena lo so... fermate il mondo! voglio scendere)
> Molto interessanti i parchi tematici, sotto questo punto di vista. La realtà
simulata, ma/e quindi verissima, dei parchi a tema, gli stessi che, sotto altra
forma, vedeva Venturi, sono un esempio lampante (ma poco sofisticato, vista la
situazione attuale) di come la politica si mischi alla poesia per creare degli
"oggetti/luoghi" estremamente autoritari, su molti livelli. E, allo stesso
momento, in una forma di bispensiero pesantissimo che funziona solo grazie
all'altrettanta pesantezza dell'autorità, racconta scenari di opportunità, di
emozione che, in qualche modo, può essere anche percepito come una spaccatura
nel reale, un luogo altro dove tutto può succedere.
> Il "decostruito" porta a spostare queste visioni in maniera sincrona con
l'evolversi della dirigenza. Dei dispensatori di koan, per l'appunto.
> E la direzione è quantomeno doppia.
> Da una parte la visione di architetture nuovamente monumentali, impossibili,
visionarie, fatte di quei blob che sono la chiave di lettura della tua
salvezza, della fuga dal parallelepipedo, della possibilità di esistenza della
tua opportunità.
> Dall'altra parte c'è la favela, lo slum, la bidonville: dove in realtà
esiste in maniera effettiva il modello emergente (più generativo delle forme
strambe delle architetture contemporanee), il p2p, la co-creazione. Gli slum
con le loro architetture nomadi, mutevoli, con il reciclaggio, con le culture
ricombinanti.
> E questo avviene pari pari sul web, dove le grandi architetture (facebook &
C.) assomigliano ai blob. Mentre i principi di parità dei nodi di internet
assomigliano assai più ad una favela. E gli uni esistono insieme agli altri
secondo un discorso fatto di suono e di pausa, di contorno e sfondo, di
contrasto e differenza di colore, di alternanza di ritmi. Tant'è vero che
questo alternarsi variabile di codice ed interstizio definisce in maniera
completa il disporsi delle culture.
> E probabilmente continua ad essere ancora lì il luogo del conflitto.
> Questo conflitto è un discorso anch'esso, ed è un discorso architettonico.
Tra architetture del software, dell'informazione, dei palazzi, della
comunicazione, dell'energia...
> E' complicato, se non impossibile, rivoltare il meccanismo contro sè stesso.
Perchè il linguaggio e l'immaginario sono quello che compone tutto quello che
c'è dentro/dietro/sopra/sotto quel meccanismo. Quindi non è poi tanto chiaro
cosa voglia dire "rivoltare il meccanismo contro sè stesso".
> Se fai il venture capitalist sei un venture capitalist. Non sei un
innovatore. Sei uno strozzino sfruttatore.
> Se fai l'architetto à la Hadid non sei poi un architetto, sei un dirigente e
attui autorità.
> Magari sei un dirigente che scrivi dei bei testi, che fa sognare le persone,
che fa immaginar loro di avere una opportunità se recitano tantetante volte il
loro mantra, ma l'opportunità che prometti loro è una opportunità accettabile
dall'autorità, in scatola.
> L'unico spazio per l'autonomia non solo si destruttura, ma perde anche le
fondamenta.
> E lo spazio nomade e temporaneo e continuamente ricombinante. E' lo spazio
che si riesce a stratificare sulle realtà autoritarie. E' l'immaginario che si
riesce ad insinuare per creare istanti di libertà e di accesso, è la
paraculata, il prank, l'appropriazione indebita, l'estorsione di tempo e la
menzogna detta per poter scandire 5 minuti in un modo invece che in quello
"previsto".
> E' la perfrmance, la fare una cosa inaspettata anche se solo una volta, o
fare continuamente la stessa cosa in posti e modi sempre differenti.
> E' lontano dal progetto classico, perchè il progetto è, per adesso,
l'autorità.
> Le forme emergenti e p2p sono, per quello che posso vedere io, l'unico modo
di affrontare questo strano scontro: fatto di routine e pianificazione e
immaginari concessi.
> E non ho, tra l'altro, ben chiaro cosa sia il p2p in senso architettonico. E
intento un p2p "totale" come lo può essere la vita di una persona che cresce in
una favela, per esempio. Mi sembra troppo applicato alle fasi di progettazione
e pochissimo in quelle di formazione, in cui si forma l'immaginario, o, almeno,
l'immaginario iniziale.
> Mettendo da parte per un secondo le caratteristiche delle singole persone,
mi manca la visione di come si possano attuare in maniera tendenzialmente
completa le pratiche del p2p "prima" del progetto.
> In un modo simile a quello che avviene, chessò, con lo skateboard, il
parkour o, ancor più vicino, nelle pratiche del software open source, quando
queste non siano distratte da grandi interessi o non siano strumenti di
comunicazione piuttosto che pratiche reali.
> Con lo skateboard è evidente, per esempio. Tu stesso apri dei discorsi con i
tuoi compagni di skateboard. Sono dei discorsi sovrapposti alla città, come una
realtà aumentata che prende in considerazione ogni luogo e oggetto della città
e prova a cambiarne uso e significato, o a crearne di aggiuntivi in quei luoghi
dimenticati o inosservati. Il discorso è la formazione. Il discorso, e il
seguito fisico sul tuo corpo, è "la lezione", in cui non ci sono professori (in
realtà ci sono, ma sono di tipo incredibilmente differente, perchè il prof sta
su una cattedra che hai anche tu, e rimane nella condizione di prof solo
finchè, in quell'istante magico in cui fai lo skid perfetto su una ringhiera
per poi atterrare in maniera incredibilmente morbida e fluida sulla panchina di
cemento e poi, scorrendo sul pavimento, saltando a piedi uniti il secchio
dell'immondizia e riatterrando con la flessione delle ginocchia sulla tavola.
In quell'istante magico in cui diventi tu il prof, fino a prova contraria, in
un dibatito prof/non prof che è continuo e dinamico, e che è alla base della
ricchezza e della bellezza di quel che vedi quando guardi gli skateboardari che
vanno in giro per la città.
> E questo vale per il parkour, per i graffiti e per le arti di strada. E per
le favela, magari con qualche fucile aggiunto, ma meno di quanti uno magari non
si immagini.
>
> Ecco, forse una idea ce l'ho anche per l'educazione.
>
> Le conferenze.
>
> Io penso che le conferenze possano cambiare di molto il loro
uso/significato/consuetudine. Perchè nel contemporaneo mi sembrano la cosa più
vicina a quella che immagino come una "università nomade temporanea autonoma
ricombinante emergente". Persone che si incontrano in luoghi e tempi diffeenti
e mutevoli, in combinazioni diverse, sulle diverse tematiche, e si raccontano
delle cose.
> Le conferenze potrebbero essere utilizzate molto bene.
> Potrebbero diventare IL luogo e la modalità più interessante per
l'educazione e la formazione.
> Architetture mobili e instabili.
> E' per questo che non amo le conferenze che, alla fine, sono degli showcase
di progetti e prodotti. Non mi interessa. Dammi un pdf per quello. Alla
conferenza voglio che mi racconti una cosa, che me la spieghi per come la vedi
tu, e che poi possiamo parlarne e poi magari scriverne e attivarsi. E poi
salutarsi e continuare, per poi forse riincrociarsi su una nuova tematica o sul
next-step di quella precedente che, comunque, sarà sicuramente presente in quel
che racconterò, perchè la volta prima ho imparato qualcosa, e pure tu.
>
> E, come al solito, è un problema di architettura e di immaginario e di
potenzialità.
>
> c'era un progetto molto bello, di David Benque, che racconta di cosa succede
quando le fabbriche diventano "desktop", con gli strumenti per il fabbing, la
sintesi dei materiali a portata di mano e la comunicazione digitale. La
fabbrica o scompariva o diventava una specie di circo nomade: un tendone o una
roulotte che andava di città in città. Qui la fabbrica si chiama fabbrica solo
per capire di cosa si sta parlando, ma è un oggetto assai differente, perchè ci
succedono tante cose diverse e non è escluso che, quando la fabbrica va via
dallo spiazzo nella tua città dopo essercisi fermata per un pomeriggio, non
abbia una fabbrica anche tu, magari sulla tua scrivania, o che tu non prenda
zaino e fabber e non ti inventi qualcosa.
>
> Cià!
> xDxD
>
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