[aha] Fwd: [neurogreen] Facebook o l'impossibilità dell'amicizia

Paolo Cirio info a paolocirio.net
Ven 11 Feb 2011 09:58:37 UTC


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> From: rattus <wbario a tin.it>
> Date: 10 February 2011 18:12:31 GMT+01:00
> To: Neurogreen a liste.comodino.org
> Subject: [neurogreen] Facebook o l'impossibilità dell'amicizia
> Reply-To: neurogreen a liste.comodino.org
>
> Facebook o l'impossibilità dell'amicizia 	 	 	
> Giovedì 10 Febbraio 2011 07:47
>
> di Franco Berardi Bifo
>
> Dedicando a Zuckerberg la sua famosa copertina, Time ha colto il  
> nucleo profondo della condizione giovanile contemporanea, in cui  
> solo un improbabile successo finanziario può offrire un’uscita dalla  
> sofferenza psichica e materiale. Capitalismo finanziario e lavoro  
> precario, solitudine e sofferenza, atrofia dell’empatia e della  
> sensibilità, impossibilità dell’amicizia e della solidarietà, sono i  
> temi che emergono dal film di David Fincher The Social Network. Il  
> film racconta la storia della creazione e della prima fase di lancio  
> di Facebook: un’impresa nell’epoca del semiocapitalismo  
> finanziarizzato, e al tempo stesso un’evoluzione decisiva di  
> Internet. Ma nel film l’attenzione si concentra anche, e forse  
> soprattutto sulle implicazioni psichiche dell’evoluzione della rete,  
> in seguito all’accelerazione e all’intensificazione che l’avvento  
> della banda larga ha reso possibile.
>
> Amore amicizia affetto, l’intera sfera dell’emozionalità è investita  
> dal cambiamento di ritmo dell’Infosfera che circonda la prima  
> generazione che ha imparato più parole da una macchina che dalla  
> mamma.
>
> Anche se alcuni dettagli biografici, per esempio la fine di una  
> storia d’amore che viene raccontata nella prima scena del film, non  
> sono necessariamente tutti veri, a differenza della narrazione dei  
> primi passi di Facebook e dei successivi conflitti legali, la  
> finzione narrativa è utile per una piena comprensione della  
> mutazione psichica e relazionale che coinvolge la vita sociale della  
> forza lavoro cognitiva. Il personaggio principale della storia, Mark  
> Zuckerberg, il giovane che ha lanciato sul mercato virtuale il  
> network, potrebbe ovviamente essere descritto come un vincente: è il  
> più giovane miliardario del mondo, proprietario di una compagnia che  
> in pochi anni è divenuto il più importante sito del mondo con  
> cinquecentomilioni di iscritti. Eppure è difficile vedere in lui una  
> persona felice, e il film lo descrive come un perdente sul piano  
> psichico e umano. L’amicizia sembra essere impossibile per lui, al  
> punto che si è condotti a supporre che il successo del suo sito sia  
> dovuto alla sostituzione artificiale dell’amicizia e dell’amore con  
> protocolli standard.
>
> Forse proprio perché la sua esperienza esistenziale l’ha reso  
> esperto della sofferenza, l’alienazione contemporanea è  
> perfettamente interpretata dalla creazione di Zuckerman, Facebook.
>
>
>
> Il desiderio è spostato dal campo del contatto fisico e investito  
> nel territorio astratto della seduzione simulata, nello spazio  
> infinito dell’immagine. L’estensione illimitata dell’immaginazione  
> disincarnata conduce alla virtualizzazione dell’esperienza erotica,  
> alla fuga infinita da un oggetto all’altro. Valore, danaro,  
> eccitazione finanziaria sono la forma perfetta della  
> virtualizzazione del desiderio. La mobilitazione permanente delle  
> energie psichiche nella sfera economica è al tempo stesso causa ed  
> effetto della virtualizzazione del contatto. La parola stessa  
> “contatto” viene a significare esattamente il contrario di quello  
> che significa: non più percezione epidermica della presenza sensuale  
> dell’altro, ma intenzionalità puramente intellettuale, conoscibilità  
> virtuale dell’altro.  La virtualizzazione del desiderio provoca un  
> effetto patogeno di fragilizzazione della solidarietà sociale e del  
> sentimento empatico.
>
>
>
> Infelicità esistenziale e successo commerciale sono i due lati  
> indissociabili dello stesso fenomeno: Zuckerberg appare così abile  
> nell’interpretazione dei bisogni psichici insoddisfatti della sua  
> generazione, perché la solitudine e la frustrazione affettiva sono  
> prima di tutto una caratteristica inerente al processo stesso di  
> creazione dell’impresa. Il genio di Zuckerberg sembra rivelarsi  
> soprattutto nell’abilità di mettere a frutto (potremmo forse dire di  
> sfruttare) l’energia della folla, e della sofferenza collettiva:  
> l’energia che proviene dal lato oscuro della moltitudine.
>
> L’idea originaria del sito non è di Zuckerberg, come sappiamo  
> dall’esito dei processi che gli hanno imposto di pagare una grossa  
> somma (seppur minuscola rispetto al valore che i mercati  
> attribuiscono oggi a Facebook). L’idea gli è stata suggerita da due  
> ricchi gemelli harvardiani che volevano assumerlo come  
> programmatore. Zuckerberg finge di lavorare per realizzare il loro  
> progetto e in realtà crea un sito che, pur partendo dalla loro idea,  
> ha una potenza comunicativa molto maggiore, proprio perché si  
> inserisce sui bisogni psichici  prodotti dall’alienazione di massa.  
> Questo vuol dire che il programmatore ha rubato qualcosa a coloro  
> che lo vogliono assumere come dipendente? Sì e no. In effetti nella  
> rete è impossibile distinguere in maniera netta i diversi momenti  
> del processo di valorizzazione, perché la forza produttiva della  
> rete è collettiva, mentre i profitti sono privati.  E’ qui all’opera  
> l’insanabile contraddizione tra collettività produttiva in rete e  
> appropriazione privata dei suoi prodotti, che mina alle fondamenta  
> l’edificio del semiocapitale, e Fincher la descrive a modo suo.
>
>
>
> Il film propone anche una visione del lavoro nell’epoca della  
> precarietà. La parola “precario” significa aleatorio, incerto,  
> instabile, e non si riferisce soltanto all’incertezza del rapporto  
> di lavoro, ma anche alla frammentazione del tempo e alla incessante  
> deterritorializzazione dei fattori della produzione sociale. Sia il  
> lavoro che il capitale, in effetti, non hanno più una relazione   
> stabile con il territorio e con la comunità. Il capitale fluisce nei  
> circuiti finanziari e l’impresa non è più fondata sulla produzione e  
> il possesso di beni materiali ma di segni, idee, informazione,  
> conoscenza e scambio linguistico.
>
> Questo significa che l’impresa non è più legata al territorio e il  
> processo di lavoro non è più fondato sulla compresenza quotidiana di  
> una comunità di lavoratori. Il processo di lavoro diviene una  
> ricombinazione continua di frammenti di tempo connessi nella rete  
> globale. I lavoratori non si incontrano ogni giorno nello stesso  
> luogo, ma rimangono soli nei loro cubicoli iperconnessi, a  
> rispondere alle richieste delle varie imprese per cui lavorano o  
> consumano.  Il capitalista non è più impegnato a firmare un  
> contratto per poter sfruttare l’energia produttiva del lavoratore  
> durante la sua intera vita, non compra più insomma la disponibilità  
> intera del lavoratore, ma semplicemente acquista un frammento di  
> tempo disponibile, che possiamo definire tempo frattale, in quanto  
> compatibile con i protocolli di interoperatività, e ricombinabile  
> con altri frammenti di tempo.
>
> Il lavoratore industriale sviluppava un sentimento di solidarietà  
> coi suoi compagni perché li conosceva come membri della sua comunità  
> esistenziale, e perché condivideva i loro interessi, mentre il  
> lavoratore cognitivo in rete è solo e incapace di solidarietà perché  
> ciascuno è costretto a competere sul mercato del lavoro e poi nella  
> gara costante per le opportunità di salario precario.
>
> Questo tipo di solitudine e di miseria psichica non caratterizza  
> solo la vita del lavoratore, ma anche quella dell’imprenditore,  
> perché dal punto di vista lavorativo il confine che separa lavoro e  
> impresa è confuso, indefinito. Anche se il reddito di un dipendente  
> è cento (o cinquecento) volte inferiore al reddito  
> dell’imprenditore, il modo in cui Mark Zuckerberg vive la sua  
> giornata di lavoro non è molto dissimile dal modo in cui la vivono i  
> suoi dipendenti. Tutti quanti si siedono davanti al computer e  
> digitano sulla tastiera. La miseria esistenziale li accomuna.
>
>
>
> Zuckerberg ha un amico, all’inizio del film, uno solo: Edouard  
> Severin, che con diciannovemila dollari accetta di farsi  
> finanziatore dell’impresa. Severin crede che l’amicizia lo metta al  
> riparo dalle brutte sorprese che la concorrenza riserva spesso a chi  
> si muove nei circuiti del capitalismo finanziario. Sbaglia: e non  
> appena un grosso gruppo finanziario investe sul network quando è il  
> suo successo è già garantito, Zuckerberg non esita a cacciare colui  
> che lo aveva aiutato nella fase più difficile, anche se è il suo  
> unico amico.
>
> Pur parlandoci di un imprenditore miliardario il film coglie il  
> senso dell’attuale condizione del lavoro, non meno che la violenza  
> del capitale finanziario. Parla cioè dell’impossibilità  
> dell’amicizia in una condizione di astrazione virtuale della  
> comunicazione, e dell’impossibilità di costruire solidarietà in una  
> società che trasforma la vita in contenitore astratto di frammenti  
> di tempo in competizione.
>
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> NEUROGREEN - neurogreen a liste.comodino.org
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> catastrofe
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