<div dir="ltr">La lettera di Massimo Canevacci mi era stata inoltrata circa un mese fa e l'avevo inoltrata all'attenzione del Consiglio Accademico della NABA, con mia grande sorpresa al posto di riscuotere l'unanime consenso dei direttori delle singole Scuole (Design, Moda, Graphic Design & Art Direction, Scenografia, Arti Visive, Media Design e Arti Multimediali, Design della Comunicazione) ha letteralmente spaccato il consiglio. Infatti il sottoscritto (e la Direzione NABA) appoggiava apertamente la posizione di Canevacci mentre altre didattiche ne criticavano il contenuto. <br>
<br>Che dire? In qualità di Direttore della Scuola di Media Design & Arti Multimediali cerco quotidianamente di mantenere (e rinforzare) gli insegnamenti critico teorici, per questo ho invitato a diventare parte del corpo docente Naba importanti pensatori critici in grado di strutturare percorsi teorici come Antonio Caronia, Pierluigi Capucci, Derrick De Kerckhove, Marco Scotini e giovani come Marco Mancuso, Lorenza Pignatti (...), e abbiamo invitato come speaker personaggi dei new media italiani come Tommaso Tozzi, Paolo Pedercini, Tatiana Bazzichelli, Donatella della Ratta, Giacomo Verde e internazionali come Roy Ascott, Jill Scott, Marcos Novak, Jens Hauser, Natasha Vita More, Roger Malina... La cosa interessante è il totale disinteresse verso questi personaggi da parte di affermati professionisti italiani della 'creatività' (sic!). Infatti in questi incontri non ho mai visto nessuna delle firme della creatività e del design presenti a milano o in accademia. <br>
<br>Oggi esiste un 'discorso forte' che cerca di focalizzare tutta la preparazione degli studenti su una ipotetica ricaduta lavorativa, la didattica viene gisutificata dai numeri degli inscritti e i meriti del corpo docente ridotti agli apprezzamenti degli stessi studenti. La situazione rischia di diventare pesante, infatti qualsiasi persona coerente sa che non è possibile insegnare un mestiere in tre anni o in due, e che sopratutto non è importante saper fare ma bisogna sapere pensare per potersi adattare criticamente ai vari scenari che si presenteranno nel mondo del lavoro (sopratutto in un epoca di grande accelerazione tecnologica come questa). Importante è gestire l'alienazione nel lavoro e nella vita attraerso una base storico-critica che ci permetta di desumere dei modelli ai quali appartenere.<br>
<br>Credo che per i giovani sia oggi fondamentale venire in possesso di strumenti critico-metodologici che gli permettano di districarsi e di aggiornare il loro pensiero in un'epoca di grande mutamemento come quella bellissima che stiamo vivendo. Ma esiste una tendenza a ridurre la didattica a workshop che sono molto comodi, infatti durano poco, costano poco, hanno risultati concreti e visibili e riempiono le università accademie di 'visiting professor' magari conosciuti con cui fare comunicazione. Quest'onda sembra avere le coordinate del design e delle arti visive? Si può dire? Non so, certo che al convegno New Media Education & Research 2008 uno degli interventi più interessanti (oltre a quello di Caronia, ndr) è stato quello di Paolo Rigamonti sull'evanescenza del modello workshop.<br>
se volete dare un occhio: <a href="http://www.francescomonico.com/m-node/newmediaeducation/mnode_newmediaeducation.html">http://www.francescomonico.com/m-node/newmediaeducation/mnode_newmediaeducation.html</a><br>(scusate l'indirizzo ma è un mirror perché il sito orginale è giù per un comportamento imbarazzante di tiscali)<br>
<br>Ecco noi ci siamo attrezzati con il convegno che, inspirato su un modello realizzato nel 2007 da Tommaso Tozzi, vorrebbe dare un contributo alle problematiche della pedagogia e della didattica dell'alta formazione artistica.<br>
<br>Idealmente anche in risposta alla lettera di Canevacci.<br><br>Qualsiasi consiglio, pensiero, critica è il benvenuto<br><br>Francesco Monico<br><br><br><br><br><br><div class="gmail_quote">Il giorno 12 agosto 2008 12.28, synusia <span dir="ltr"><<a href="mailto:synusia@libero.it">synusia@libero.it</a>></span> ha scritto:<br>
<blockquote class="gmail_quote" style="border-left: 1px solid rgb(204, 204, 204); margin: 0pt 0pt 0pt 0.8ex; padding-left: 1ex;"> ve la giro come luogo di riflessione - e del resto quello che riguarda massimo canevacci non potrebbe che essere cosí. una mente fuori dal comune...ok - sono certa sara' di vostro interesse.<br>
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a presto synusi@ cyborg<br>
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Lettera aperta per la Facoltà di Scienze della Comunicazione<br>
dell'Università "La Sapienza" di Roma<br>
Massimo Canevacci<br>
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Le nuove scelte didattiche della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università "La Sapienza" mi impongono di rendere pubbliche alcune perplessità, poiché, a fronte di un'indubbia crisi dell'ordinamento triennale, si è deciso di ristrutturare l'ordine degli studi secondo una visione della<br>
comunicazione restaurativa e schiacciata sull'esistente.<br>
In tal modo, la scienza della comunicazione rischia di ridursi a una preparazione professionale di taglio giornalistico; le connessioni sperimentali e trans-disciplinari con quanto emerge nella comunicazione digitale (estesa tra design, architettura, pubblicità, performance, musiche, moda, arte ecc.) spesso risultano incomprese, "non controllate" o neutralizzate in "tecniche"; e vengono ignorate, di conseguenza, quelle ricerche che stanno tentando<br>
modificare paradigmi espositivi, composizioni espressive, narrazioni multisequenziali.<br>
Tale tendenziale rinchiudersi della comunicazione dentro un giornalismo asfittico e un'apologia dei media impoverisce la Facoltà, trasforma i docenti in funzionari dell'"industria culturale", addestra gli studenti alla rinuncia<br>
all'innovazione e all'assenso disciplinato, chiude alle nuove professionalità che attraversano visioni, stili, linguaggi, è indifferente alle prospettive che<br>
nelle università estere da tempo vengono applicate in questo ambito (si veda il ruolo dell'antropologia culturale nei Media Studies in tante università estere - MIT, Humboldt Universität, Escola de Comunicação e Arte). Tutto questo<br>
rischia di configurare provincialismo disciplinare, endogamia mass-mediale, diffidenza dell'emergente, sottrazione delle potenzialità digitali.<br>
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La materia che ho insegnato per più 20 anni – Antropologia Culturale, materia fondamentale per gli studenti di primo anno – è stata soppressa, mentre a Roma, in Italia e ovunque, sarebbe necessario moltiplicare le ricerche con<br>
questo orientamento, per contrastare le pericolosissime onde razziste, le chiusure localistiche, i decisionismi verticistici, le grettezze mediatiche.<br>
Si è preferito, invece, puntare su materie "classiche" (diritto e storia), eliminando la prima delle tre discipline fondamentali delle scienze sociali (antropologia, sociologia, psicologia). Il docente che la insegnava viene "esiliato" al terzo anno del corso di laurea di Cooperazione e Sviluppo, con una materia denominata Comunicazione Interculturale. Già nel titolo del corso si esprime la continuità di un dominio neo-coloniale dell'Occidente verso un mondo "altro": che la "cooperazione" sia focalizzata a dare aiuti economici ai<br>
laureandi e ai rispettivi Paesi di residenza, piuttosto che all'"altro", dovrebbe essere ormai evidente; e sulla critica al concetto di "sviluppo" sono stati scritti così tanti saggi prima e dopo il '68 che è noioso solo ricordarlo. Quindi si crea una materia come Comunicazione Interculturale, che<br>
fin dal nome rafforza chiusure identitarie e culturali, regressioni scientifiche e formative, che purtroppo appaiono in sintonia con quelle politiche da "lega romana" adeguate al clima imperante, in cui un cattolicesimo appiccicoso cerca di controllare governi e opposizioni, atenei, facoltà,<br>
docenti.<br>
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I riferimenti cui la mia cattedra si è ispirata sono collocati, tra gli altri, nel filone antropologico inaugurato da Gregory Bateson: che, a partire dalle<br>
sue ricerche anticipatrici a Bali, hanno permesso di elaborare il doppio<br>
vincolo, concetto tra i più straordinari applicato sia alla comunicazione "normalmente" psico-patologica che ai mass media nascenti; fino alla sua collaborazione con Wiener per le primissime ricerche sulla cibernetica. Anziché dedicarsi a santi e madonne, processioni e proverbi – temi troppo spesso<br>
esclusivi nell'insegnamento di questa materia da noi – la ricerca antropologica di Bateson si inserisce nei flussi già all'epoca emergenti di comunicazione, tecnologia, alterità.<br>
Infine, questa lettera non rivendica nulla di personale (vado in pensione dal prossimo anno e lascio quindi questa Facoltà). Essa esprime un posizionamento politico-culturale che individua, nella crisi crescente e apparentemente<br>
irreversibile della Facoltà di Scienze della Comunicazione, un problema su cui indirizzare la riflessione critica nell'interesse di docenti, studenti, impiegati: di chiunque viva e respiri l'aria di un'università che cerchi di dare senso ai futuri possibili e non si limiti a replicare il peggio dei presenti mediatizzati.<br>
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Aha mailing list<br>
<a href="mailto:Aha@ecn.org">Aha@ecn.org</a><br>
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</blockquote></div><br><br clear="all"><br>-- <br>environmental sustainability, ethical living, eco-technology and Art<br>
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