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<p class="MsoNormal">Si può affermare senza paura di sbagliare che in Italia
l’artista, dopo i poliziotti e i preti, è l’essere più comunemente disprezzato.
Le ragioni per cui è disprezzato sono spesso false ragioni, frutto
dell’ideologia dominante, ma le ragioni per cui è effettivamente disprezzabile
dal punto di vista della critica politica andrebbero dichiarate apertamente. Sono
diverse le definizioni a cui questo soggetto può essere associato. Nei luoghi
in cui la produzione è ancora percepita come strettamente legata alle ore di
lavoro prestato per salario l’artista è comunemente considerato inutile ai
processi produttivi. Una tale concezione dell’economia, però, può considerarsi molto
lontana dal reale. In altri luoghi in cui l’artista è considerato esperto di
una particolare tecnica, esso viene associato all’artigiano che<span style=""> </span>produce oggetti d’arte. Niente di più
illusorio e forviante. Probabilmente la peggiore e la<span style=""> </span>più ideologica delle sue definizioni è quella
legata ad un’idea di arte come territorio dell’esperienza estetica pura in cui
l’artista è portatore di una verità altra inaccessibile ai più. Tutte
definizioni che nascondono la sua realtà, cioè essere parte attiva, suo
malgrado, di un processo economico che si riproduce.</p>
<p class="MsoNormal">Il mercato dell’arte è una delle espressioni forse più alte
di mercato finanziario. Esso si basa su di un sistema di opinioni che
definiscono le quotazioni degli oggetti venduti, al di là della natura
dell’oggetto. Il valore delle quotazioni è garantito dalla presenza di una
innumerevole quantità di giovani artisti che prestano lavoro non solo precario
ma addirittura gratuito nella speranza di raggiungere un traguardo inesistente.
Questi giovani artisti si sentono tanto più liberi e realizzati quanto più si
incatenano a questo tipo di meccanismo. Da studenti studiano come le diverse
produzioni vengono esposte, come vengono comunicate e criticate. Studiano gli stili
e le tendenze, le inclinazioni e gli incidenti. Le opere così diventano
l’espressione più alta di come il pensiero possa essere trasformato in
economia. Ogni oggetto, video, tela, installazione è una trovata, un pretesto,
un elemento utile alla sopravvivenza di questo mercato. </p>
<p class="MsoNormal">La situazione non è cambia neanche quando nel ’99 il
processo di Bologna a visto le Accademie travolte dall’idea di riforma a costo
zero. Il piani didattici sono stati trasformati per introdurre materie che
possano consentire un più agevole inserimento nel mondo del lavoro facendo
strada al sistema del 3+2. Le tasse scolastiche sono state aumentate a
dismisura pesando sugli studenti, così sempre più poveri e pronti a diventare i
precari della conoscenza di domani. I legami con i sistemi di produzione
economica si sono fatti più stretti ma sono stati attenuati dall’idea di una
possibilità lavorativa più concreta. Ciò che viene insegnato è pensato per
essere utile a questo sistema economico sia che si tratti di analisi teoriche
sia che si tratti di realizzazioni pratiche: comunicazione, grafica, design,
fashion, programmazione. Ma come si può anche solo pensare di essere parte di
un sistema economico che non funziona più? Come ci si può cullare su di un
illusorio inquadramento nel mondo del lavoro schiavi di un processo ormai alla
fine? </p>
<p class="MsoNormal">Ci è sembrato indispensabile avviare anche all’interno delle
Accademie zone di autonomia didattica in cui gli studenti avessero il tempo di
rielaborare la propria formazione e le proprie intenzioni. Abbiamo pensato ad
un’autoformazione che prendesse in considerazione sia l’aspetto teorico che quello
pratico e attraverso quest’ultimo potesse essere un’occasione per valorizzare
possibili relazioni tra soggettività diverse. </p>
<p class="MsoNormal">Ma in questo scenario c’è da prendere meglio in
considerazione cosa ha significato per le Accademie il processo di Bologna.
Quel vertice ha visto la stesura della legge 21 dicembre 1999, n. 508<span style=""> </span>che prevedeva la trasformazione delle
Accademie e dei Conservatori in Istituzioni di alta formazione artistica e
musicale. Le disposizioni in essa contenute erano norme di principio, la cui
attuazione era rimessa ad uno più regolamenti, da adottarsi da parte del
Ministero dell’istruzione, dell’università entro e non oltre il 31 Dicembre del
2007. Parte di questi regolamenti sono stati stilati e firmati in fretta e
furia il 27 dicembre del 2007 quando da mesi le Accademie avevano avviato una
mobilitazione nazionale contro molti punti di questa legge. L’attuazione è
stata parziale e assolutamente confusionaria gettando gli studenti in un limbo
istituzionale che continua ancora adesso. In questa situazione per noi è stato
possibile intervenire all’interno della didattica ottenendo un riconoscimento
delle attività svolte. Tuttavia ci sembra insufficiente che questo successo
possa dipendere solo da un assenza legislativa. Il diritto di decisione nella
didattica per gli studenti deve essere riconosciuto nei decreti attuativi sin
nelle stanze del Ministero. </p>
<p class="MsoNormal">Allo stato attuale il valore legale del nostro titolo di
studio è parziale e poco chiaro. Questo ci lascia in balia del mercato
lavorativo senza avere alcun diritto. In più dal punto di vista amministrativo
le Accademie non sono entrate<span style=""> </span>a far
parte dei circuiti universitari e per questo gli studenti non possono godere
degli stessi diritti. Quindi nessuna borsa di ricerca o dottorato ci
spetta.<span style=""> </span>I doplomandi accademici
subiranno un criterio di selezione lavorativa basato sul prestigio
dell’istituzione da cui provengono in cui gli interventi dei privati sono stati
ormai ampiamente legittimati. Questo avveniva prima che la crisi fosse una
realtà tangibile per tutti. Si prepavano le basi per creare all’interno delle
Accademie schiavi senza diritti. Con maggiore consapevolezza di quello che ci
aspetta incominciamo a difenderci protestando contro il vertice che si terrà a
Torino. Un vertice del tutto simile a quello che ci ha portato in questa
condizione. Dobbiamo essere noi a scegliere e rifiutare di non avere
possibilità di scelta. Vogliamo il diritto ad un valore legale del nostro
titolo di studio pur conservando la nostra specificità di saperi. Vogliamo che
gli studenti siano parte attiva nella decisione didattica. Vogliamo la
possibilità di una ricerca libera. </p>