"La cosa più violenta la subiscono, come al solito, gli studenti, cui
vengono inculcati questi immaginari, come simbolo del successo." Xd è nel giusto, il problema italiano è il Fascismo dell'immaginario.<br><br>fra<br><br><div class="gmail_quote">Il giorno 21 settembre 2010 23:45, xDxD.vs.xDxD <span dir="ltr"><<a href="mailto:xdxd.vs.xdxd@gmail.com">xdxd.vs.xdxd@gmail.com</a>></span> ha scritto:<br>
<blockquote class="gmail_quote" style="border-left: 1px solid rgb(204, 204, 204); margin: 0pt 0pt 0pt 0.8ex; padding-left: 1ex;">Ho un problema. <br>Oggi siamo andati all'Acquario Romano, la sede dell'Ordine degli Architetti di Roma, alla presentazione/lancio di CitiVision Mag, un freepress di architettura molto bello, con un occhio particolarmente attento ai progetti degli architetti più giovani e con il preciso e dichiarato intento di tentare di alzare il livello della discussione sull'architettura contemporanea a Roma, e di trasformarla in un dialogo più internazionale.<br>
Se da un lato ammiro molto l'impostazione del progetto e l'atteggiamento con cui gli organizzatori lo pianificano ed eseguono, dall'altro sono rimasto un po' atterrito dalla lecture dell'invitato principale.<br>
Non ho nulla contro di lui, ovviamente: esprime dei concetti interessanti, seppur molto centrati sulla forma. E l'inizio della sua presentazione è stato anche molto interessante, con le sue analisi sul linguaggio degli spazi pubblici e privati.<br>
E' solo che pian pianino, durante la conferenza, veniva insinuato nella discussione un assunto che, per quel che penso e sento, non è per nulla scontato. Piano piano, tra le descrizioni di un progetto e l'altro, emergeva una tensione verso il futuro, verso l'innovazione, verso "l'opportunità" che era incentrata su immaginari utopici e, a tratti, degni dei più sfarzosi faraoni dell'antico Egitto.<br>
Venivano presentati progetti grandiosi, con cantieri sterminati che duravano 5-6 anni, con centinaia di camion che trasportavano "robe" gigantesche. Era inevitabile scivolare verso visioni di schiavi che tirano enormi blocchi di pietra per costruire piramidi.<br>
Questi grandi progetti, a New York, in Germania, a Valencia e in tanti altri posti, venivano presentati candidamente come le dimensioni più avanzate della ricerca contemporanea, come le utopie che, creando meraviglia, liberando l'immaginazione e "usando anche la dimensione di gioco dell'Architettura", potevano modellare gli immaginari, creare visioni sul futuro e, quindi, opportunità.<br>
Ma davanti agli occhi c'era una persona che presentava fiero delle immagini di cantieri enormi, con centinaia di migliaia di pezzi di impalcatura tirati su per costruire curve azzardate fatte di dozzine di strati di materiali differenti, che contrattava tra istituzioni e corporation globali del cemento, dell'acciaio, del legno per costruire cose enormi in grado di "far fare una passeggiata suggestiva in cima alla città, di mangiare in un buon ristorante con una vista incredibile, di creare delle zone coperte e di ombra - presupposto fondamentale per la fruizione dello spazio pubblico -, creando tre livelli di utilizzo e interpretazione del territorio". (cito a memoria e in ordine sparso: mi scuserà l'architetto se sbaglio qalcosa, e si senta pure libero di correggere, ovviamente)<br>
E, oltre ogni "ministero dell'amore" di orwell, venivano anche decantate le caratteristiche di ecologia e sostenibilità delle produzioni architettoniche.<br>Ora: lo so. Le utopie *possono* essere utilizzate per creare immaginari, per stimolare la fantasia, per abilitare la "fuga" che spesso permette di avere nuove idee. La meraviglia, la suggestione, l'"eccezionale" serve. Perchè se abito in un cubo di pietra e ne esco solo per andare a lavorare in un altro cubo di pietra, muoio. E quindi le cose eccezionali hanno un loro uso: possono essere utilizzare per riinventare la realtà, creando visioni e spazi di espansione.<br>
Ma proprio non riesco ad identificare queste cose faraoniche con una via praticabile. Mi sembrano più oggetti del potere. Le suggestioni che mi fanno venire in mente sono quelle che rigurdano come l'architetto, in quel momento, si debba sentire una specie di semi-dio, con tutti quei camion, quei materiali, quelle enormi travi d'acciaio che si innalzano al cielo, proprio come le ha disegnate, o come le ha fatte disegnare ai suoi collaboratori, comunicando loro la sua visione. Mi viene in mente quanto costino questi oggetti. Quanto siano ogegtto di potere queste enormi cifre. Quanto siano oggetto di contrattazione tra professionisti, istituzioni, costruttori, politici, sindacati. E quanto siano belli nel disegno, ma di come sia poi ben più misera la realtà, fatta di lavoratori in tuta arancione e casco giallo, di stagisti che lavorano gratis, di poveracci con carta di credito che provano a rimorchiare portando veline a mangiare aragosta in cima ad un blob enorme a forma di fungo, e di come siamo cambiati poco nelle nostre aspirazioni.<br>
Ecco: superuomini, in grado di avere potere, che si esprime con questi enormi "cosi".<br>Non che non siano belli o interessanti, ripeto. Sono interessanti come usano il software, come usano i nuovi materiali, come riescano a rendere reali cose che prima non c'erano e possibili cose che si immaginano dopo aver visto il "coso".<br>
Non mi sembra un "dibattito contemporaneo", questo. Non mi sembra, perchè ci sono cose più fondamentali nel contemporaneo, cose che hanno più la caratteristica di essere "nodi". E riguardano probabilmente maggiormente l'ambiente, il lavoro, il debito, e l'identificazione di modelli che creino un po' di sostenibilità e che, con tutta probabilità, non sono grandi come quei "cosi", ma sono più piccoli, autonomi, mobili, "attorno" alla persona, empatici e temporanei. Mentre invece queste utopie sono proprio il contrario.<br>
La cosa che mi colpisce di più, oltretutto, è collegata al linguaggio. Che, come al solito, è "al contrario". Ma a questo siamo abituati, no? "Innovazione" vuol dire mantenere lo stato delle cose, "futuro" vuol dire passato, "sostenibilità ed ecologia" vuol dire fare un cantiere gigantesco che dura 6 anni per produrre un mostro gigantesco con un pannellino solare sopra, "dialogo" vuol dire avere amici nei posti giusti per poter contrattare committenze ciclopiche, "cambiamento" vuol dire solo velocizzare l'impresa diminuendo la burocrazia.<br>
La cosa più violenta la subiscono, come al solito, gli studenti, cui vengono inculcati questi immaginari, come simbolo del successo.<br><br>Salto in avanti: dall'altra parte, all'Opificio Telecom, c'era un incontro sul "futuro di internet". Si parlava di App, le applicazioni per i dispositivi mobili che stanno trasformando così rapidamente il mercato di come si usa internet ed i suoi servizi.<br>
Le App sono molto belle, divertenti, accessibili e usabili. Hanno delle belle interfacce. Sono divertenti, emozionanti, eccetera, eccetera, eccetera.<br>Ma hanno un enorme problema: eliminano la trasparenza dei protocolli di internet, mettendo tutto in mano al service provider, sia dal punto di vista di chi gestisce il marketplace delle applicazioni, sia da chi le applicazioni le fa e commercializza. <br>
Vuoi il servizio? Scaricati l'applicazione e fregatene di come funziona, di come gestisco le informazioni, di come gestisco la sicurezza, di quanto ti spio te e i tuoi amici. Non c'è standard. Se usi 10 app vuol dire che, in un modo o nell'altro, hai firmato 10 contratti su come gestire i tuoi dati, tutti differenti, tutti scritti in linguaggi che non capisci, tutti testi che non leggerai mai. E poi: fine della libertà di navigazione e di uso delle risorse di internet, fine degli standard e protocolli aperti: con le app torna tutto in mano ai service provider. Altro che innovazione: torniamo ai deliri di America Online.<br>
<br>Questo grande incontro è stato presentato nell'ambito dei programmi di telecom italia sulle culture digitali. In dei luoghi quindi in cui si parla di innovazione e di opportunità.<br>Se ci fate caso sia questo che quello prima son due problemi "architettonici". Di tipo differente. Di due architetture che si compenetrano, nella città, tra cemento e informazioni.<br>
Proprio mentre Bernabè, da un lato, annuncia che la super-rete wireless Telecom se la farà da sola, e deciderà da sola come/quando/cosa farà come servizi, perchè "è sua responsabilità".<br>E mentre continua la buffonata (che però funziona: attenzione! anche se non lo dovesse vincere, il progetto ha creato quel che doveva creare...) del Nobel per la Pace ad Internet.<br>
Proprio mentre continua il fiorire di iniziative di origine "corporate" sull'imprenditorialità alla californiana, con tutti gli immaginari che ne conseguono e senza le delicate alchimie che lì la stanno facendo funzionare (per ora), con tutti gli incubatori di impresa che ne conseguono (qui).<br>
<br>Altra cosa in comune: tutte queste iniziative sono iper-frequentate. In qualche modo stanno tutti "a caccia". Vogliono inventare la prossima killer-app, il prossimo social network. Proprio come vogliono diventare i prossimi archi-star.<br>
<br>Senza pensare, però, che quelli che raggiungono quei ruoli sono ben lontani dall'utopia, ed agiscono non nel modo "ingenuo", puro ed accessibile che ci mostrano con la "visione", ma con ben più rodate abilità contrattatorie, a suon di bilanci, investimenti incrociati, accordi fatti al ristorante, strette di mano, e compromessi.<br>
<br>Questo sfasamento del linguaggio concorre a creare la scomparsa della rivolta, della reazione e, quindi, della reale innovazione e trasformazione. <br><br>In definitiva: cos'è l'innovazione, il cambiamento, la rivolta, la trasformazione e la reinvenzione quando a definirne estetiche, modalità, opportunità, ambizioni ed immaginari è un costruttore, una corporation o un venture capitalist?<br>
<br>bacieabbracci<br><font color="#888888">xDxD<br>
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<br></blockquote></div><br><br clear="all"><br>-- <br>nec metuas nec optas<br>