<html><head></head><body style="word-wrap: break-word; -webkit-nbsp-mode: space; -webkit-line-break: after-white-space; ">Cavolo, poni delle questioni che non sono uno scherzo, ho scritto e cestinato una prima lettera e ora ci riprovo.<div>L'architettura è un fatto politico specifico, il professionista dell'architettura è anch'esso molto diverso da altri professionisti, dall'esterno può sembrare una professione ragionevole, ma dal di dentro non lo è, e anche il potere scorre in maniera non usuale. </div><div>Per farti un esempio del modo in cui potere e autorità siano celati nelle pieghe più profonde della materia prendo gli strumenti base del progetto di architettura (ma anche della grafica) le cosiddette tecniche di composizione. Decidere in che modo bucare un muro, o qualsiasi altra scelta, è sempre inevitabilmente una scelta compositiva, tali tecniche sono state affinate con l'uso nei secoli e sono più o meno il sottotesto inespresso di qualsiasi lezione di progettazione, che prima all'università si chiamava appunto "composizione". Ora, questo insieme di processi su cui esiste una quantità di testi abnorme in architettese stretto, la si può guardare da molti punti di vista, ad es. dal punto di vista della Gestalt, tuttavia uno dei modi meno usati è considerarli complessivamente come una forma di retorica, la retorica e la composizione sono talmente simili che esiste quasi sempre un parallelismo fra una figura retorica e una regola compositiva, per capirci il termine "ellissi" è presente in entrambe e significa la stessa cosa. </div><div>Gli edifici sono dei discorsi. E sono sopratutto dei discorsi politici. Poi c'è l'urbanistica, che è politica bella e buona, e come nella politica nazionale è passata dall'interesse collettivo al personalismo, suicidandosi. Ma questa è una digressione, il fatto che la composizione può essere trasmessa così come si insegna la retorica non è noto ai più, la maggior parte dei manuali non lo dice, i testi su queste questioni hanno sempre un tono filosofeggiante, nel caso delle mummie presenti nell'università italiana (e in special modo nel caso delle mummie cattoliche) si raggiunge il misticismo bello e buono, la composizione è una roba zen che il maestro ti trasmette con i koan, e tu raggiungi il satori quando a una certa, la tua roba smette di fare schifo magicamente (quando ciò dovesse avvenire). Alcuni professori in questo paese si fanno chiamare "maestro", l'assistente non pagato annuncia: "il maestro sta entrando", e Giorgio Grassi entra in aula. </div><div><br></div><div>Ora, forse si è già capito dove voglio arrivare, ma lo metto qui papale papale: </div><div><br></div><div>l'architettura si insegna come se fosse un fatto mistico per rinforzare la struttura autoritaria e la distribuzione di potere al suo interno, e all'esterno per costituire una barriera fra chi è adepto e chi no. </div><div><br></div><div>Non è un caso che i decostruttivisti credano di non fare composizione; utilizzare sistemi mutuati da altre discipline, saccheggiare Derrida, tutto ciò è stato tra le altre cose un tentativo progressista di attacco a questo corpus mistico, quando c'erano buone intenzioni, ma spesso si è risolto tutto in una sostituzione dei koan "linee ortogonali" con i koan "linee sghembe/casualità apparente".</div><div>In realtà l'architettura anticompositiva è un non-senso, una antinomia, esattamente come la grafica non impaginata, se il tuo metodo per impaginare è bendarti e fare alla cieca stai comunque impaginando, è una strategia che magari da risultati interessanti, ma stai ancora scegliendo e dal punto di vista dell'osservatore è possibile risalire alle tue scelte, non ne sei uscito, non ne puoi uscire.</div><div>Fin'ora non l'ho detto ma, i due testi a cui pensavo scrivendo queste righe hanno due titoli rivelatori, il testo che tratta di composizione come retorica s'intitola "analitica dell'invenzione in architettura" e il testo sul decostruttivismo s'intitola "tecniche d'invenzione in architettura", (entrambi marsilio). Sono o non sono due titoli volutamente ossimorici? Nella quarta di copertina del secondo dei due è scritto: </div><div><br></div><div>"tecniche di invenzione in architettura indaga le fasi germinali della progettazione, quando da un grumo magmatico di intuizioni, riferimenti, ricordi [...] scaturisce finalmente l'idea, quella giusta, cioè la sintesi di un momento di verità, che ogni volta rinnova nell'artefice quel senso di (onni)potenza dell'atto creativo" (Matteo Zambelli, insegna architettura e composizione a Trento).</div><div><br></div><div>Capite ora perchè parlare di genere sessuale è un modo facile per affrontare l'argomento? Le righe che ho citato tradiscono una concezione talmente da sventrapapere da sembrare anche un po' ridicole. La storia dell'architettura del '900 è una storia di una progressiva perdita di certezza e fiducia verso le proprie capacità salvifiche, il proprio delirio di onnipotenza, una storia che ha nella persona di Le Corbusier il paradigma. Demiurgo socialisteggiante che voleva purificare le città dall'irrazionale, Corbu si faceva fotografare con i guantoni da pugile, per realizzare la sua utopia (ma sarebbe stata una distopia) ha trattato con tutti i dittatori che ha incontrato e ad un certo punto ha creduto di ravvisare nell'Italia di zio Benito la nuova mecca dell'architettura, dopo la guerra perse la hubris e iniziò a fare edifici più gentili, personali, permettendosi l'aggiunta di elementi irrazionali, una tarda rivincita delle posizioni degli architetti espressionisti tedeschi come Haring e Scharoun. Le Corbusier è stato sia il Marx che il Lenin del modernismo, quando ha preso il potere ha sostituito i koan praticamente da solo, con i suoi koan fatti di fanatismo nel progresso, anzi fanatismo della razionalità (la facilità con cui si incappa nelle antinomie in questa materia non ti sarà sfuggita), siamo andati avanti fino a gli anni 60, quando Robert Venturi si è fatto un giro a Las Vegas, "Learning from Las Vegas", il risultato della peregrinazione, ha per la prima volta un approccio diverso, lo si evince da quel "learning from" che presuppone un'apertura verso l'esistente che è anti-ideologica, inaugurando almeno il dubbio in architettura e la necessità di osservare la complessità e tentare d'intervenire in essa. </div><div>Ora la materia è fatta sopratutto di dubbi, e si focalizza l'interesse verso l'eccezione piuttosto che verso la norma, tutto si sta mescolando con le tecnologie della comunicazione e si sta rendendo blurry, come dicevo, si sta riscoprendo il corpo umano e la sensualità, sempre più spesso il ruolo dell'architetto diventa quello di un facilitatore sociale e il pensiero laterale diventa una delle armi più usate per svolgere la professione.</div><div><br></div><div>L'ultimo irriducibile dogma è e sarà l'autorità, come ci fa notare David Forster Wallace in "autorità e uso della lingua" (considera l'aragosta, einaudi) noi diamo retta ad un dizionario o ad un manuale sull'uso della lingua solo se implicitamente decretiamo che abbia l'autorità per farlo, non a caso i dizionari servono anche per dirimere le questioni linguistiche, quella autorità è un non detto, ma è effettiva, dato che ad ogni nuova edizione dello Zanichelli il tg fa il suo pezzo di costume sulle nuove parole incluse di diritto nella lingua italiana, da chi se non da un gruppo di esperti? Ora nel caso dell'architettura a questa autorità riconosciuta per legge si aggiunge e si sovrappone l'autorialità, un secondo grado di distorsione che spinge ad abdicare contro la personalità delle superstar e il loro residuo demiurgico. Badiamo bene ad un fatto, Zaha Hadid ha uno studio di Roma, che opera del tutto indipendentemente da quella sbruffona, ricevono l'ordine di partecipare ad un concorso per telefono da Londra e loro vi partecipano a nome della padrona, io dubito che se quella stessa gente diventasse indipendente e partecipasse al concorso senza il brand HADID, le chances di vittoria sarebbero lo stesse.</div><div><br></div><div>Nel frattempo il primo mondo è preda dei palazzinari e il terzo diventa sempre più un gigantesco slum informale, incontrollato, l'architettura è quel corpus informe che tenta di opporsi, facendosi arma culturale, molte voci al suo interno auspicano una dissoluzione del ruolo dell'architetto, ma il rischio è che palazzine e bidonvilles invece di essere il 90% di tutto, diventino il 100%.</div><div><br></div><div>(spero di aver in parte risposto, ho scritto troppo, potrei continuare a lungo, ma ora devo scrivere l'abstract della mia tesi di laurea, passo e chiudo)</div><div><br></div><div>Kilroy</div><div><br></div><div> <br><div><div>Il giorno 25/set/2010, alle ore 01.32, xDxD.vs.xDxD ha scritto:</div><br class="Apple-interchange-newline"><blockquote type="cite">ciao a tutti e a kilroy nello specifico, che la risposta mi interessa molto.<br><br>io sono sostanzialmente daccordo. tant'è vero che anche gli organizzatori dell'evento sono architetti più che decenti, il cui scopo "di base" è progettare e realizzare "cose" per le persone: usabili, comode, funzionanti e, se possibile, belle. Sono dei ragazzi molto bravi nel loro lavoro, e attivi e reattivi.<br>
<br>quindi, dicevamo, progettare cose che, semplicemente, fanno il loro lavoro: pensilina, sedia, palazzo, appartamento, linea della metro... <br><br>con tutti i limiti e gli svarioni del caso, ovviamente, perchè poi ciò che disegni su carta, o quello che realizzi come prototipo e magari lo porti alla femmina biennale, poi, è differente quando lo metti in una città.<br>
<br>di corviale esistono dei disegni bellissimi e dei testi assai poetici, per capirci. :)<br><br>tocco una questione al volo e poi torno al "problema". il fatto che uno "progetti" una architettura (ma vale anche per altre cose "progettabili" ) in qualche modo è già un atto autoritario e l'espressione di un potere. Anche se quel qualcuno è mosso dalle motivazioni più nobili e dall'umiltà più estrema e dalla professionalità più integerrima, sta sempre progettando qualcosa che poi influenzerà la vita di qualcun altro. E questo fino a prova contraria è un potere, ed una autorità, perchè "infligge" qualcosa a qualcuno. (anche se l'oggetto dell'infliggere dovesse essere "bello" e "comodo"... chi lo sa se quel che è bello per "te" è bello anche per "me"? come lo calcoli? e così via)<br>
<br>Oltretutto questi "cosi" sono anche assai costosi e questo fatto (ovvero il gestire enormi somme di denaro ed il potere decisionale rispetto a come distribuirle) è un altro potere ed un'altra autorità.<br>
<br>adesso: maschia/femmina, buona, cattiva e così_così, l'architettura è una roba strana. Come dici tu chi fa l'architetto fa un sacco di cose: è un po' ingegnere, un po' designer, un po' artista, un po' paesaggista, un po' antropologo, un po' politico, un po' costruttore, un po' pittore, un po' scultore, un po' musicista e così via. <br>
<br>E questo stare in mezzo a tante cose, e di interconnetterle, è un fatto molto importante nel contemporaneo.<br><br>tanto importante da rimpiazzare a piè pari tante delle cose che fino a un po' di tempo fa erano molto importanti e centrali in come percepiamo il mondo che ci circonda.<br>
<br>un esempio per tutte: oggi non è "strano" che uno che va a vedere l'arte stia in realtà andando a vedere *il museo*<br><br>e di questi esempi è pieno.<br><br>è un andamento. l'architettura ha preso il posto di un sacco di cose.<br>
<br>ed è un andamento generale, che vale per tanti domini, non solo per quelli di cemento. ma anche ad esempio per quello dell'informazione, o della creatività. (da cui ecco che sorge, ad esempio, l'interesse delle aziende per la creatività: Richard Florida alla gogna! )<br>
<br>sostituisci soggetti e complementi, lasciando invariata la parola "architettura", e automaticamente tornerai al mio problemino originario.<br><br>le dinamiche del potere, l'uso dell'immaginario, e le cose che assomigliano al "crowdsourcing", agli "incubatori" e in generale a quelle cose che raccoglono molte persone, danno loro una qualche forma di presenza, magari le fanno anche lavorare, magari le pagano anche (poco), ma poi, alla fine, chi ottiene i maggiori benefici è "la scatola", e i benefici che "la scatola" ne trae sono sostanzialmente: sedare tutti quelli che sono nella scatola, dando parvenze ed immaginari di opportunità; accentrate potere grazie alla scomparsa di tutto tranen la scatola, visto che ad apparire è la scatola e non le formichine che ci sono dentro; ridurre in condizioni di assoggettazione le formichine nella scatola, perchè i loro profitti (piccoli) vengono solo dalla scatola, la scatola dà loro le possibilità di lavorare, di comunicare, di produrre eccetera.<br>
<br>anzi: le formichine proprio tendono a non averne di profitti; tendono a lavorare gratis e ad avere dei servizi; offerti, naturalmente, dalla "scatola".<br><br>la scatola viene, oltretutto, percepita come "straordinaria", chiudendo un loop per cui chi non è nella scatola è libero o di entrarci o di criticarne le modalità. Ma la critica è presa per "rottura di coglioni negativa e bruttina" da tutti quelli che dentro la scatola ci stanno o che la possiedono o che l'hanno costruita, perchè tu, in generale, stai criticando una cosa "straordinaria, che crea opportunità, innovazione e possibilità".<br>
<br>questo è un gioco al massacro.<br><br>E, lo ripeto, lo spunto me l'ha dato l'architettura l'altro pomeriggio, ma è un argomento con cui mi scontro per inclinazione personale ogni giorno.<br><br>Ed è un problema di architettura. Di architettura del potere, in qualche modo. O, più precisamente, di come il potere, l'autorità, usi varie forme di architettura (di cemento, di informazione, di servizi, di credito, di servizio, del sistema dell'educazione, delle culture...) creando dei supereroi (o anche semplicemente dei professionisti) che tramite delle utopie raccolgano persone e le mettano in una scatola fatta di un immaginario progettato.<br>
<br>questo mi sembra realmente violento.<br><br>ciau!<br>xDxD<br><br><div class="gmail_quote">2010/9/24 kilroy <span dir="ltr"><<a href="mailto:ndp@bastardi.net">ndp@bastardi.net</a>></span><br><blockquote class="gmail_quote" style="margin: 0pt 0pt 0pt 0.8ex; border-left: 1px solid rgb(204, 204, 204); padding-left: 1ex;">
Caro XDXD, ti risponde uno che dal primo giorno di facoltà di architettura si pone queste questioni (parlerò solo di architettura, non ho mai usato una app).<br>
In realtà non credo affatto che gli architetti siano tutti uguali e tutti mossi da questo gigantismo o dalla volontà di essere la prossima archistar.<br>
Quando ho cominciato io, a metà anni '90, si combatteva (battaglia non ancora vinta, i posti chiave nelle università sono gli stessi di 20 anni fa) contro il postmoderno strapaesano, contro le schifezze incommensurabili di Aldo Loris Rossi e compagni, contro un'idea nostalgica e conservatrice, totalmente fasulla di città, fatta di carinerie posticce, recupero del merlo guelfo e altre sonore porcate, false, ipocrite e del tutto distanti dalla realtà (basterebbe dire che più della metà degli edifici in questo paese è stato costruito dopo la guerra per capire quanto questa gente vivesse nell'isola che non c'è). Questa architettura è stata il massimo della fasullaggine, nata come risposta ad un modernismo mal digerito che ha prodotto troppa bruttezza e troppa alienazione, il post-modern italiano (parola che in architettura assume connotazioni diverse che in altri campi) fu come dire: il postmodern è localizzato e specifico delle nostre realtà, ricostruisce il nesso storico interrotto con le nostre radici, è su misura per i centri storici, è la via italiana all'architettura. Salvo poi esportare queste cacate in tutto il mondo.<br>
Almeno in America i seguaci di Venturi (un abisso intellettuale separa i nostri e i loro) sono arrivati a fare una "piazza d'italia" a New Orleans (Charles Moore), una sonora presa per i fondelli.<br>
Dopo questa sbronza di vani ascensore a forma di colonne corinzie (cfr Ricardo Bofill) è successo un fatto, due di quelli che erano considerati architetti postmodern, tanto di essere inclusi da Portoghesi nella "strada novissima" della Biennale, Frank Gehry e Rem Koolhaas, sono finiti anche in un altra mostra al MOMA, quella che sanciva la nascita del decostruttivismo (per me non c'è contraddizione, postmodern e decostruttivismo sono due facce della stessa medaglia, ma non in Italia).<br>
Lasciando stare Koolhaas che è un personaggio complicato, di intelligenza e cattiveria vertiginose (uno di quei geni che guardano tutti gli altri umani come pidocchi, ma geni restano) a livello di pubblico il cambio di paradigma l'ha portato Gehry, con quell'immane bignè glassato di titanio che è il Guggenheim di Bilbao, sul quale nei '90 omnitel e audi ambientavano le pubblicità. Con quell'edificio lì si sono rotti gli argini. Gehry è stato un visionario, ha preso un manifesto dell'architettura futurista di Boccioni (ritrovato nel '56) e l'ha messo in pratica sfruttando software di modellazione solida che non eran mai stati usati in architettura (Catia). Boccioni sosteneva che un giorno avremmo vissuto dentro enormi sculture e Gehry, che non nega di adorare Boccioni ha eseguito, diventando una superstar e continuando imperterrito ad eseguire cosi che sono dei Gehry, così come un Pollock è un Pollock. La nascita di un fenomeno del genere è parallelo al sempre più frequente branding delle città, Gehry fa dei loghi tridimensionali.<br>
Dopo 15 anni l'unione di scultura informale a scala gigante e software molto potenti ha creato una situazione in cui dal pericolo costante di scadere nel kitsch (rossi portoghesi e friends) siamo passati al pericolo costante di sprofondare nel trash (Libeskind you sucks!)<br>
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Ora immagina che periodicamente io mi trovi di fronte alla stazione di Perugia ad aspettare, di fronte a me ho un orripilante aggeggio fuori scala progettato da Rossi (non ho bisogno di andare a cercare conferma, Rossi è inconfondibile), la solita piazza che nessuno frequenta, l'orologetto rotondo che nessuno guarda, la finestra morta... Rossi non è mai arrivato a capire che le città ideali rinascimentali e quelle metafisiche sono quadri e che a viverci dentro si sta di merda.<br>
Di lato ho invece la stazione della (non so come si chiami, è una specie di metro sopraelevata a cabina unica) di Jean Nouvel, l'edificio è appropriato e piacevole, nessun gigantismo, nessun guardami esisto, oh! E che cazzo! Strano ma vero, esiste anche chi, se gli chiedi una pensilina dove aspettare il mezzo pubblico, la realizza, non ci piove dentro, non richiama nostalgie e nemmeno magnifiche sorti progressive, fa la stazioncina, bontà sua.<br>
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Jean Nouvel va per i '70, non ha bisogno di dimostrare un cavolo a nessuno, non ha neanche bisogno di assomigliarsi pedissequamente, ne di urlare, continua a fare sperimentazione tecnologica e i suoi lavori sono se non altro appropriati, non sono un manifesto di alcunchè, sono grandi quanto serve, pensati per quelli che li devono usare, così se deve fare un algido grattacielo per il centro di Tokio lo fa senza remore, se deve fare una folie parigina per attirare i turisti la fa, se deve fare uno spazio temporaneo per prendere il the (la serpentine di quest'estate) la fa e gli riesce molto bene.<br>
Siamo arrivati a questo dunque, uno come Nouvel che è in giro dalla fine dei '60, fa delle belle architetture perchè non gli serve più di dimostrare nulla, non c'è più un paradigma da rompere, non c'è più una generazione da superare, l'architettura post-ideologica è migliore di quella ideologizzata e risulta paradossalmente dirompente, perchè ci si sta bene dentro.<br>
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Gli architetti sono tutti delle gran puttane, fa un po' parte del lavoro di gente, che a volerla infamare, ha in fondo anche il ruolo di fornire un plusvalore estetico alla sede delle banche, di giustificare lo stesso principio del progresso, gli architetti non possono accogliere la distopia tra i propri argomenti, tra le loro soluzioni non c'è mai "distruggo per liberare", c'è solo "distruggo per ricostruire". Anche uno come Yona Friedman (il più adorabile nemico interno che abbiamo nella categoria) è in fondo un costruttore.<br>
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Ora questo secondo me è un bel momento per la storia dell'architettura, i giornali di settore non fanno altro che parlare d'interventi come quelli di Alejandro Araveda, o Giancarlo Mazzanti, le architetture più interessanti sembrano tutte legate a storie di riscatto (soweto, medellin bogotà, libano, new dehli), le archistar sono sempre meno interessanti e così gli edifici a forma di fungo, e anche nel primo mondo stanno tornando al centro gli uomini, i sensi, il piacere, l'architettura sta diventando femmina, per fortuna! Tu invece sei andato a vedere una conferenza tenuta da un individuo evidentemente fallocratico.<br>
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Andiamo alla biennale, che anche lei quest'anno è femmina.<br>
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kilroy<br>
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