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<P class=MsoNormal style="MARGIN-BOTTOM: 12pt"><FONT face=Arial size=2><SPAN
style="FONT-SIZE: 12pt">ciao a tutti - vi giro...</SPAN></FONT></P>
<P class=MsoNormal style="MARGIN-BOTTOM: 12pt"><FONT face=Arial size=2><SPAN
style="FONT-SIZE: 12pt">a presto synusi@</SPAN></FONT></P>
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<P class=MsoNormal style="MARGIN-BOTTOM: 12pt"><FONT face="Times New Roman"
size=3><SPAN style="FONT-SIZE: 12pt">Lettera aperta per <st1:PersonName
ProductID="la Facoltà" w:st="on">la Facoltà</st1:PersonName> di Scienze della
Comunicazione<BR>dell'Università "<st1:PersonName ProductID="La Sapienza"
w:st="on">La Sapienza</st1:PersonName>" di Roma<BR>Massimo
Canevacci<BR><BR> Le nuove scelte didattiche della Facoltà di Scienze
della Comunicazione <BR>dell'Università "<st1:PersonName ProductID="La Sapienza"
w:st="on">La Sapienza</st1:PersonName>" mi impongono di rendere pubbliche alcune
<BR>perplessità, poiché, a fronte di un'indubbia crisi dell'ordinamento
triennale, <BR>si è deciso di ristrutturare l'ordine degli studi secondo una
visione della <BR>comunicazione restaurativa e schiacciata sull'esistente.<BR>In
tal modo, la scienza della comunicazione rischia di ridursi a una
<BR>preparazione professionale di taglio giornalistico; le connessioni
sperimentali <BR>e trans-disciplinari con quanto emerge nella comunicazione
digitale (estesa tra <BR>design, architettura, pubblicità, performance, musiche,
moda, arte ecc.) spesso <BR>risultano incomprese, "non controllate" o
neutralizzate in "tecniche"; e <BR>vengono ignorate, di conseguenza, quelle
ricerche che stanno tentando <BR>modificare paradigmi espositivi, composizioni
espressive, narrazioni <BR>multisequenziali.<BR>Tale tendenziale rinchiudersi
della comunicazione dentro un giornalismo <BR>asfittico e un'apologia dei media
impoverisce <st1:PersonName ProductID="la Facoltà" w:st="on">la
Facoltà</st1:PersonName>, trasforma i docenti <BR>in funzionari dell'"industria
culturale", addestra gli studenti alla rinuncia <BR>all'innovazione e
all'assenso disciplinato, chiude alle nuove professionalità <BR>che attraversano
visioni, stili, linguaggi, è indifferente alle prospettive che <BR>nelle
università estere da tempo vengono applicate in questo ambito (si veda il
<BR>ruolo dell'antropologia culturale nei Media Studies in tante università
estere <BR>- MIT, Humboldt Universität, Escola de Comunicação e Arte).
Tutto questo <BR>rischia di configurare provincialismo disciplinare, endogamia
mass-mediale, <BR>diffidenza dell'emergente, sottrazione delle potenzialità
digitali.<BR><BR>La materia che ho insegnato per più 20 anni – Antropologia
Culturale, materia <BR>fondamentale per gli studenti di primo anno – è
stata soppressa, mentre a <BR>Roma, in Italia e ovunque, sarebbe necessario
moltiplicare le ricerche con <BR>questo orientamento, per contrastare le
pericolosissime onde razziste, le <BR>chiusure localistiche, i decisionismi
verticistici, le grettezze mediatiche.<BR>Si è preferito, invece, puntare
su materie "classiche" (diritto e storia), <BR>eliminando la prima delle tre
discipline fondamentali delle scienze sociali <BR>(antropologia, sociologia,
psicologia). Il docente che la insegnava viene <BR>"esiliato" al terzo anno del
corso di laurea di Cooperazione e Sviluppo, con <BR>una materia denominata
Comunicazione Interculturale. Già nel titolo del corso <BR>si esprime la
continuità di un dominio neo-coloniale dell'Occidente verso un <BR>mondo
"altro": che la "cooperazione" sia focalizzata a dare aiuti economici ai
<BR>laureandi e ai rispettivi Paesi di residenza, piuttosto che all'"altro",
<BR>dovrebbe essere ormai evidente; e sulla critica al concetto di "sviluppo"
sono <BR>stati scritti così tanti saggi prima e dopo il '68 che è noioso solo
<BR>ricordarlo. Quindi si crea una materia come Comunicazione Interculturale,
che <BR>fin dal nome rafforza chiusure identitarie e culturali, regressioni
<BR>scientifiche e formative, che purtroppo appaiono in sintonia con quelle
<BR>politiche da "lega romana" adeguate al clima imperante, in cui un
cattolicesimo <BR>appiccicoso cerca di controllare governi e opposizioni,
atenei, facoltà, <BR>docenti.<BR><BR>I riferimenti cui la mia cattedra si è
ispirata sono collocati, tra gli altri, <BR>nel filone antropologico inaugurato
da Gregory Bateson: che, a partire dalle <BR>sue ricerche anticipatrici a Bali,
hanno permesso di elaborare il doppio <BR>vincolo, concetto tra i più
straordinari applicato sia alla comunicazione <BR>"normalmente" psico-patologica
che ai mass media nascenti; fino alla sua <BR>collaborazione con Wiener per le
primissime ricerche sulla cibernetica. Anziché <BR>dedicarsi a santi e madonne,
processioni e proverbi – temi troppo spesso <BR>esclusivi nell'insegnamento di
questa materia da noi – la ricerca antropologica <BR>di Bateson si inserisce nei
flussi già all'epoca emergenti di comunicazione, <BR>tecnologia,
alterità.<BR>Infine, questa lettera non rivendica nulla di personale (vado in
pensione dal <BR>prossimo anno e lascio quindi questa Facoltà). Essa esprime un
posizionamento <BR>politico-culturale che individua, nella crisi crescente e
apparentemente <BR>irreversibile della Facoltà di Scienze della Comunicazione,
un problema su cui <BR>indirizzare la riflessione critica nell'interesse di
docenti, studenti, <BR>impiegati: di chiunque viva e respiri l'aria di
un'università che cerchi di <BR>dare senso ai futuri possibili e non si limiti a
replicare il peggio dei <BR>presenti
mediatizzati.<BR><BR><BR></SPAN></FONT><BR></P><o:p></o:p></SPAN></FONT></DIV></FONT></DIV></BODY></HTML>