[Ezln-it] Marcos parla alla carovana internazionale

Renza renza at ipsnet.it
Wed Aug 6 17:12:00 CEST 2008


La Jornada – 4 agosto 2008
Dice che cerca una relazione diretta non mediatica tra organizzazioni 
Marcos: gli zapatisti non cercano di egemonizzare la ribellione in Messico
Né lui né nessun altro è capace di arrivare al potere e di trasformare tutto 
verso il basso 
Hermann Bellinghausen - Inviato

San Cristóbal de las Casas, Chis, 3 agosto - Lo zapatismo non "è l'unico 
ribelle, né il migliore", né cerca di creare "un movimento che egemonizzi 
tutta la ribellione in Messico" - sostiene il subcomandante Marcos venerdì 
notte ricevendo nel caracol de La Garrucha la Carovana Nazionale ed 
Internazionale di solidarietà che percorre le comunità zapatiste.

Accompagnato dal tenente colonnello Moisés e dai comandanti Isaías e Masho, 
ha parlato di arrivare ad "un incontro di ribellioni, uno scambio di 
apprendistato ed a una relazione più diretta, non mediatica ma reale, tra 
organizzazioni".

Davanti a caravaneros provenienti da diversi paesi, soprattutto europei, il 
capo militare ribelle ha sottolineato che "il racconto di una sinistra 
istituzionale" che arriva al potere "è perfettamente chiaro agli spagnoli, 
con José Luis Rodríguez Zapatero o Felipe González", o per i francesi, 
con "il barone" François Mitterand.

"In Messico no. Continua ad esserci quell'aspettativa: che sia possibile che 
la sinistra che soffriamo ora, se arriva al potere, riesce a governare senza 
smettere di essere di sinistra". Praticamente tutti i paesi del mondo si 
rendono conto del contrario, ha ribadito. "Di gente di sinistra, non 
necessariamente radicale, che smette di esserlo nel momento in cui arriva al 
potere. Variano la velocità, la profondità, ma inevitabilmente si 
trasformano. Quello è 'l'effetto stomaco' del potere: che ti digerisce e ti 
fa merda".

In Messico, con l'avvicinamento della sinistra al potere, sorse "questo 
processo di digestione e defecazione". Perdonatemi se spezzo qualche cuore, 
ma il centro non sta nel centro, è incollato a destra".

Ha ricordato che un gruppo di intellettuali, artisti, leader sociali chiedeva 
agli zapatisti do far tronare la storia aò 1984, "quando pensavamo che se un 
gruppo, o una persona, arriva al potere, trasforma tutto verso il basso. Che 
depositassimo la fiducia, il futuro, la nostra vita ed il nostro processo in 
un illuminato, su di una persona, insieme ad una banda di 40 ladri che è la 
sinistra in Messico".

"Non è che ci sia antipatico il presidente legittimo, ma semplicemente non 
crediamo in questo tipo di processo. Non crediamo che nessuno, neanche se è 
così bello come il subcomandante Marcos, sia capace di operare una simile 
trasformazione".

Il puzzle del potere ed il pezzo che non s'incastra

Lo zapatismo è scomodo, ha aggiunto. "Come se nel puzzle del potere arrivasse 
un pezzo che non s'incastra e di cui bisogna disfarsi. Dei movimenti 
esistenti in Messico, uno (anche se non è l'unico), lo zapatismo, non 
permette di adattarsi, di arrendersi, di zoppicare, di vendersi, mentre nei 
movimenti in altro "è quella la logica". Lo "spostamento a destra" della 
sinistra che partecipa al potere "si nasconde dicendo che l'EZLN si è 
radicalizzato, ma il nostro progetto continua ad essere lo stesso: non 
cerchiamo la presa del potere, pensiamo che le cose si costruiscono dal basso.

Il potere è un club esclusivo. La ‘società del potere ' ha regole, e ci si 
può accedere solo a se si va d'accordo. Chiunque cerchi la giustizia, la 
libertà, la democrazia, il rispetto della diversità, non ha possibilità di 
accedervi, a meno che claudichi su quelle idee".

Nella sua prima apparizione in pubblico di quest'anno, il portavoce ribelle 
commenta: "Si dice, non senza ragione, che negli ultimi due anni il 
subcomandante Marcos ha lavorato, con impegno e successo, a distruggere 
l'immagine mediatica che si era costruita intorno a lui".

Ha pure ricordato gli "intermediari", disposti a viaggiare "con le spese 
pagate per ricevere applausi e qualche altro favore". Ha sottolineato che 
l'apparizione dei "coyote" della solidarietà ha occultato l'esistenza "di 
altri bassi". Con la Sesta dichiarazione della Selva Lacandona è arrivata "la 
rottura con questo settore, e la ricerca, in Messico e nel mondo, di altri 
che fossero come noi, ma differenti".

Ha poi ricordato che nella posizione sostenuta dagli zapatisti di fronte al 
potere c'è una caratteristica "essenziale": la rinuncia ad egemonizzare ed 
omogeneizzare la società. "Non pretendiamo un Messico zapatista, né un mondo 
zapatista. Non pretendiamo che tutti diventino indigeni. Noi vogliamo un 
posto, qui, il nostro, che ci lascino in pace che non ci comandi nessuno. 
Questa è la libertà: che noi possiamo decidere ciò che vogliamo fare".

Dopo aver offerto ai suoi visitatori un "rapido excursus" della storia 
dell'EZLN, iniziata 25 anni fa nella Selva Lacandona, ha parlato 
della "eredità morale ed etica di coloro che ci hanno fondato. Abbiamo un 
debito morale con i nostri compagni. Non con voi, non con gli intellettuali 
che si sono allontanati, non con gli artisti, né con gli scrittori, né con i 
leader sociali che ora sono antizapatisti".

Il debito è "con quelli che sono morti lottando" - ha concluso. "Vogliamo che 
arrivi il giorno in cui possiamo dire ai nostri morti solo tre cose, 
nient'altro: non ci siamo arresi, non ci siamo venduti, non abbiamo 
zoppicato".

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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