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<br><br>LA FABBRICA: LICENZIAMENTI E MORTE<br> by Operai Contro / Categoria :: Numero 322<br>Pubblicato il ven, 11 gen @ 23:32 <br><br><br>Un terribile fine d’anno, in dicembre sette operai bruciati in acciaieria. Dodici<br>operai licenziati quasi contemporaneamente negli stabilimenti Fiat del meridione fra<br>ottobre, novembre e gennaio. Sui morti della Thissen un mare di inchiostro già<br>consumato, sui licenziati poche righe nei giornali locali. Eppure… Eppure esiste fra<br>i due eventi un collegamento strettissimo che si chiama fabbrica, un territorio del<br>tutto particolare. Usiamo il termine fabbrica in senso generale e cioè quel<br>territorio separato dal resto della società dove gli operai vendono le loro braccia<br>per un salario e sono utilizzati dal padrone per produrre una merce dalla cui vendita<br>deve ricavare un profitto adeguato al livello di capitale investito. La proprietà<br>privata, che è il fondamento della società odierna salvaguardia questo territorio da<br>incursioni esterne o le rende molto innocue. Qui il padrone, o per dirla più<br>modernamente, il manager assoldato dagli azionisti, stabilisce modi di comportamento,<br>regolamenti interni, sistemi di produzione e utilizzo dei macchinari. Per rendere<br>operative le sue decisioni mette a capo di semplici operai responsabili,<br>coordinatori, vere e proprie guardie; sono anch’essi lavoratori e lavorano per far<br>lavorare gli operai alle condizioni dettate dal padrone. La legge parla chiaro: tocca<br>all’imprenditore organizzare la produzione. Un altro dei cardini del della società di<br>oggi. <br>Si ma non esageriamo, dice il riformista democratico, la fabbrica non è quel<br>territorio dove il padrone è il despota assoluto, deve rendere conto ad un sistema di<br>leggi che ne limitano la discrezionalità. Dopo la morte. Dopo cioè, che da quei<br>cancelli, che delimitano il suo territorio escono gli operai maciullati, avvelenati,<br>morti. Solo allora interviene, con i suoi tempi, la magistratura, si mette in atto<br>qualche controllo in più, avvisando per tempo il datore di lavoro in modo che possa<br>mascherare meglio impianti e cicli di lavoro. Cosa ha evidenziato la strage di Torino<br>se non l’assoluto arbitrio di un gruppo dirigente aziendale sulle condizioni di<br>produzione e con questo sulla pelle degli operai che vi lavoravano? Tocca agli operai<br>mettere un freno, nessuno lo metterà per loro, è vero, ma se non si capisce il regime<br>di fabbrica non si capiscono le difficoltà che gli operai affrontano quando decidono<br>di fare in proprio <br>Per capire saltiamo nei feudi industriali del Meridione, e solo un mese prima.<br>Quattro operai vengono licenziati alla Fiat di Melfi, uno alla Fiat di Pomigliano.<br>Il primo licenziato di Melfi è un delegato sindacale, scrive un volantino contro uno<br>di quei capi ligi al dovere, un comunicato sindacale, denuncia solo che il capo ha<br>minacciato gli operai nel corso di uno sciopero. Chi decide sulla legittimità di<br>questa iniziativa? La legge italiana? No, un dirigente FIAT che scrive una lettera di<br>contestazione, all’operaio cinque giorni di tempo per giustificarsi e nel frattempo<br>espulso dal feudo: sospensione cautelare, non potrà più entrare a lavorare. Il nostro<br>delegato porta le giustificazioni, chi deve giudicare se sono valide o da rigettare?<br>E’ ancora lui, il dirigente Fiat, non deve nemmeno motivare la sua scelta, non sono<br>valide punto, licenziamento. “Venga a ritirare le spettanze il giorno …” Il delegato<br>ricorrerà in tribunale, passeranno mesi se non anni e come tirerà avanti nel<br>frattempo? Non sono problemi del despota in giacca e cravatta, il delegato doveva<br>pensarci prima.<br>Per gli altri tre licenziati la storia è ancora più esplicativa di cosa si intenda<br>per regime di fabbrica e uguaglianza dei cittadini. Il provvedimento riguarda tre<br>operai che vengono perquisiti come indagati per il reato di terrorismo. A quelli che<br>si fanno impressionare dalla parola terrorismo chiediamo di essere seri, è solo un<br>sospetto. La perquisizione non ha prodotto niente, gli operai sono estranei<br>totalmente, comunque il diritto dice che fintanto ché non c’è la condanna definitiva<br>non sono colpevoli. Il padrone FIAT sa prima di altri delle perquisizioni. E’ da<br>sempre che carabinieri e magistratura collaborano con i datori di lavoro a tenere a<br>bada gli operai facinorosi, ma farla cosi sporca…Anche qui il comando di fabbrica<br>ragiona sulla base di leggi che valgono solo nel suo territorio. Contestazione<br>scritta: lei è sospettato, farebbe ridere chiunque il fatto che l’essere sospettato<br>sia già un reato. Ma non è così per il padrone. I soliti cinque giorni di formalità e<br>poi la sentenza è emessa non da un tribunale, ci vorrebbero accusatori, difensori,<br>giudici, ma da un uomo Fiat con pieni poteri: naturalmente licenziati, tutti e tre.<br>Anche loro si rivolgeranno alla giustizia esterna, con i suoi tempi, la prima udienza<br>dopo quasi tre mesi. Nel frattempo, alla fame. Da nessuna parte, tantomeno in<br>parlamento un sospettato è trattato così ma per gli operai vige una legge<br>particolare. Così particolare che al licenziato dell’Alfa di Pomigliano viene<br>contestata un’azione fuori dal territorio proprio di fabbrica. In un salone di<br>vendita di auto Fiat degli operai protestano per il regime in cui sono costretti a<br>produrre le stesse auto, uno striscione contro il precariato, un comizio volante. E<br>solo una piena ed effettiva libertà di espressione ma la Fiat individua l’operaio che<br>ritiene responsabile della protesta, gli contesta l’iniziativa e dopo i soliti cinque<br>giorni lo licenzia. Le giustificazioni respinte. Dai giudici a chiedere la<br>reintegrazione, intanto fuori dalla fabbrica. <br>Cosa vogliono gli industriali ed in particolare il management della Fiat è chiaro,<br>tagliare le teste pensanti di una possibile ripresa delle lotte degli operai sui<br>loro interessi, dal salario al problema del potere nella società. Foraggiare e<br>favorire lo strato di sindacalisti concertativi, quelli “del prendere quello che il<br>padrone dice di poter dare” ed eliminare gli attivisti sindacali direttamente<br>prodotti dagli operai che tendono a ragionare operai contro padroni, salari contro<br>profitti, classe contro classe. Ed eliminarli con un’azione preventiva prima che<br>costruiscano solidi rapporti con la maggioranza degli operai.<br>Il gruppo dirigente della Fiat non poteva presentare la sua azione in questi termini,<br>avrebbe dovuto ammettere che stava conducendo un’operazione politica, per difendere i<br>suoi interessi di classe contro esponenti della classe avversa, cosi ha dovuto<br>costruire a tavolino i licenziamenti trovando per ognuno una causa particolare. Lo ha<br>potuto fare in piena repubblica democratica, perché essa, fondandosi sulla proprietà<br>privata e il ruolo centrale dell’imprenditore fa della fabbrica moderna il luogo dove<br>il cittadino diventa operaio, ed in questo modo cade sotto un’altra legislazione<br>particolare che è quella stabilita dal padrone. Noi li chiamiamo licenziamenti<br>politici proprio perché sappiamo che si producono nel timore che hanno gli<br>industriali di trovarsi nuovamente ed ancora di fronte ad una classe rinata dopo<br>tante sconfitte più forte e più determinata di prima.<br>E.A.<br><br /><hr />Windows Live Spaces <a href='http://pushthebutton2006.spaces.live.com/' target='_new'>Push the Button! Crea il tuo blog e condividi le tue esperienze col mondo!</a></body>
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