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<DIV><FONT color=#800080 size=6><STRONG>La lotta di classe,
appunto</STRONG></FONT></DIV>
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<DIV style="FONT: 10pt arial">
<DIV><FONT face="Comic Sans MS" size=3><STRONG></STRONG></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face="Comic Sans MS" size=3><STRONG></STRONG></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face="Comic Sans MS" size=3><STRONG>Un caro compagno mi
scrive:</STRONG></FONT></DIV></DIV>
<DIV><BR></DIV>
<DIV align=justify><FONT face=Arial size=2>Ritengo utile conservare questo
articolo paradossalmente uscito su "La Republica" del 3 maggio u.s. e ancor più
assurdamente riportato in tutti i gr della TV di stato di quel giorno: i
dati che riporta sono di assoluto interesse e, stante la fonte, del tutto
inoppugnabili !!!</FONT></DIV>
<DIV align=justify><FONT face=Arial size=2></FONT> </DIV>
<DIV align=justify><FONT face=Arial size=2>j.</FONT></DIV>
<DIV align=justify><FONT face=Arial size=2></FONT> </DIV>
<DIV align=justify><FONT face=Arial size=2>_______________________</FONT></DIV>
<DIV align=justify><FONT face=Arial size=2><FONT face=Arial
size=2></FONT> </DIV>
<DIV align=justify><FONT face=Arial size=2></FONT> </DIV>
<DIV align=justify><FONT face=Arial size=2><FONT size=4><STRONG><U>Il declino
degli stipendi<BR></U></STRONG></FONT><BR><STRONG>Autore:
Maurizio</STRONG> <STRONG>Ricci</STRONG><BR><BR><STRONG>“Sempre più alta la
quota del Pil che va ai profitti” (e soprattutto alla
rendita)</STRONG></FONT></DIV>
<DIV align=justify><FONT face=Arial size=2><STRONG></STRONG></FONT> </DIV>
<DIV align=justify><FONT face=Arial size=2><STRONG>da La Repubblica, 3 maggio
2008 <BR><BR></STRONG><BR><BR></DIV></FONT></FONT>
<DIV align=justify>
<HR>
</DIV>
<P align=justify></P>
<DIV align=justify>La lotta di classe? C´è stata e l´hanno stravinta i
capitalisti. In Italia e negli altri Paesi industrializzati, gli ultimi 25 anni
hanno visto la quota dei profitti sulla ricchezza nazionale salire a razzo,
amputando quella dei salari, e arrivare a livelli impensabili ("insoliti",
preferiscono dire gli economisti). Secondo un recente studio pubblicato dalla
Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, nel 1983, all´apogeo della Prima
Repubblica, la quota del prodotto interno lordo italiano, intascata alla voce
profitti, era pari al 23,12 per cento. <BR><BR>Di converso, quella destinata ai
lavoratori superava i tre quarti. Più o meno, la stessa situazione del 1960,
prima del "miracolo economico". L´allargamento della fetta del capitale comincia
subito dopo, nel 1985. Ma per il vero salto bisogna aspettare la metà degli anni
´90: i profitti mangiano il 29 per cento della torta nel 1994, oltre il 31 per
cento nel 1995. E la fetta dei padroni, grandi e piccoli, non si restringe più:
raggiunge un massimo del 32,7 per cento nel 2001 e, nel 2005 era al 31,34 per
cento del Pil, quasi un terzo. Ai lavoratori, quell´anno, è rimasto in tasca
poco più del 68 per cento della ricchezza nazionale. <BR><BR>Otto punti in meno,
rispetto al 76 per cento di vent´anni prima. Una cifra enorme, uno scivolamento
tettonico. Per capirci, l´8 per cento del Pil di oggi è uguale a 120 miliardi di
euro. Se i rapporti di forza fra capitale e lavoro fossero ancora quelli di
vent´anni fa, quei soldi sarebbero nelle tasche dei lavoratori, invece che dei
capitalisti. Per i 23 milioni di lavoratori italiani, vorrebbero dire 5 mila 200
euro, in più, in media, all´anno, se consideriamo anche gli autonomi
(professionisti, commercianti, artigiani) che, in realtà, stanno un po´ di qui,
un po´ di là. Se consideriamo solo i 17 milioni di dipendenti, vuol dire 7 mila
euro tonde in più, in busta paga. Altro che il taglio delle aliquote Irpef.
<BR><BR>Non è, però, un caso Italia. Il fenomeno investe l´intero mondo
sviluppato. In Francia, rileva sempre lo studio della Bri, la fetta dei profitti
sulla ricchezza nazionale è passata dal 24 per cento del 1983 al 33 per cento
del 2005. Quote identiche per il Giappone. In Spagna dal 27 al 38 per cento.
Anche nei paesi anglosassoni, dove il capitale è sempre stato ben remunerato, la
quota dei profitti è a record storici. Dice Olivier Blanchard, economista al
Mit, che i lavoratori hanno, di fatto, perduto quanto avevano guadagnato nel
dopoguerra. Forse, bisogna andare anche più indietro, al capitalismo selvaggio
del primo ‘900: come allora, in fondo, succede poi che il capitalismo troppo
grasso di un secolo dopo arriva agli eccessi esplosi con la crisi finanziaria di
questi mesi. <BR><BR>Ma gli effetti sono, forse, destinati ad essere più
profondi. C´è infatti questo smottamento nella redistribuzione delle risorse in
Occidente dietro i colpi che sta perdendo la globalizzazione e il risorgere di
tendenze protezionistiche: da Barack Obama e Hillary Clinton, fino a Nicolas
Sarkozy e Giulio Tremonti. <BR><BR>Sostiene, infatti, Stephen Roach, ex capo
economista di una grande banca d´investimenti come Morgan Stanley, che la
globalizzazione si sta rivelando come un gioco in cui non è vero che vincono
tutti. Secondo la teoria dei vantaggi comparati di Ricardo, la globalizzazione
doveva avvantaggiare i paesi emergenti e i loro lavoratori, grazie al boom delle
loro esportazioni. E quelli dei paesi industrializzati, grazie all´importazione
di prodotti a basso costo e alla produzione di prodotti più sofisticati. «E´ una
grande teoria - dice Roach - ma non funziona come previsto». <BR><BR>Ai
lavoratori cinesi è andata bene, ma quelli americani ed europei non hanno mai
guadagnato così poco, rispetto alla ricchezza nazionale. Sono i capitalisti dei
paesi sviluppati che fanno profitti record: pesa l´ingresso nell´economia
mondiale di un miliardo e mezzo di lavoratori dei paesi emergenti, che ha
quadruplicato la forza lavoro a disposizione del capitalismo globale,
multinazionali in testa, riducendo il potere contrattuale dei lavoratori dei
paesi sviluppati. Quanto basta per dirottare verso le casse delle aziende i
benefici dei cospicui aumenti di produttività, realizzati in questi anni,
lasciandone ai lavoratori le briciole. Inevitabile, secondo Roach, che tutto
questo comporti una spinta protezionistica nell´opinione pubblica, a cui i
politici si mostrano sempre più sensibili. <BR><BR>Ma il ribaltone nella
distribuzione della ricchezza in Occidente è, allora, un effetto della
globalizzazione? Non proprio, e non del tutto. Secondo gli economisti del Fmi,
nonostante che il boom del commercio mondiale eserciti una influenza sulla nuova
ripartizione del Pil, l´elemento motore è, piuttosto, il progresso tecnologico.
Su questa scia, Luci Ellis e Kathryn Smith, le autrici dello studio della Bri,
osservano che il balzo verso l´alto dei profitti inizia a metà degli anni ´80,
prima che le correnti della globalizzazione acquistino forza. Inoltre, l´aumento
della forza lavoro disponibile a livello mondiale interessa anzitutto
l´industria manifatturiera, ma, osservano, non è qui - e neanche nei servizi
alle imprese, l´altro terreno privilegiato dell´offshoring - che si è verificato
il maggior scarto dei profitti. <BR><BR>Il meccanismo in funzione, secondo lo
studio, è un altro: il progresso tecnologico accelera il ricambio di macchinari,
tecniche, organizzazioni, che scavalca sempre più facilmente i lavoratori e le
loro competenze, riducendone la forza contrattuale. E´ qui, probabilmente, che
la legge di Ricardo, a cui faceva riferimento Roach, si è inceppata. Il
meccanismo, avvertono Ellis e Smith, è tutt´altro che esaurito e, probabilmente,
continuerà ad allargare il divario fra profitti e salari in Occidente.
<BR><BR>Dunque, è la dura legge dell´economia a giustificare il sacrificio dei
lavoratori, davanti alla necessità di consentire al capitale di inseguire un
progresso tecnologico mozzafiato? Neanche per idea. La crescita dei profitti,
sottolinea lo studio della Bri, «non è stato un passaggio necessario per
finanziare investimenti extra». Anzi «gli investimenti sono stati, negli ultimi
anni, relativamente scarsi, rispetto ai profitti, in parecchi paesi». In altre
parole «l´aumento della quota dei profitti non è stata la ricompensa per un
deprezzamento accelerato del capitale, ma una pura redistribuzione di rendite
economiche». </DIV>
<DIV align=justify> </DIV>
<DIV align=justify>La lotta di classe, appunto. </DIV>
<P></P><BR></BODY></HTML>