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<P>Joseph Halevi sul manifesto di martedì 17 giugno 2008 </P></DIV>
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<DIV><STRONG><FONT color=#800080 size=5>Quell'integrazione fallita in
un'economia globalizzata</FONT></STRONG></DIV>
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<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT><BR></DIV>
<DIV>Joseph Halevi<BR></DIV>
<DIV>Fin dai referendum sul trattato di Maastricht, approvato per un soffio
dall'elettorato francese e bocciato da quello danese, la prova delle urne ha
messo sistematicamente in crisi l'Europa istituzionale. Le bocciature dei
trattati europei sono viste come un attaccamento anacronistico agli stati
nazionali mentre, si dice, la globalizzazione li svuota di significato.<BR>La
realtà è ben diversa. Sul piano dell'integrazione economica l'Europa è
pienamente inserita nel processo mondiale sia sul piano reale che su quello
finanziario. La stessa Irlanda ne costituisce un esempio. Nella fase cumulativa
gli aiuti da Bruxelles e la detassazione dei capitali hanno trasformato il paese
in una base per multinazionali farmaceutiche ed elettroniche proiettate verso il
mercato europeo ed oltre.</DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT><BR>Oggi, dopo aver raggiunto i più alti
livelli dell'Unione europea, Dublino è in fase decrescente, con perdite di
aziende verso i paesi dell'est, tra i quali l'altrettanto piccola Estonia emerge
come una base offshore dell'elettronica scandinava in diretta contrapposizione
all'Irlanda. Nel frattempo poli di avanzata tecnologia globale come Grenoble in
Francia si stanno svuotando per le rilocalizzazioni in Cina. È l'integrazione
politica che è da tempo fallita in Europa impedendo quindi di affrontare la
globalizzazione.</DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT><BR>A differenza dell'integrazione economica
che, dal Piano Marshall in poi, ha coinvolto l'intera Europa occidentale dalla
Norvegia alla Grecia, il cuore dell'integrazione politica si basa su un nocciolo
di paesi continentali. In particolare sulla Germania, sulla Francia e
sull'Italia.<BR>Questo nucleo, come vedremo non omogeneo, ha dovuto poi mediare
con le esigenze di liberismo finanziario (quello aspramente criticato dalla
Merkel per intenderci) provenienti dalla Gran Bretagna per la quale l'Europa è
unicamente uno spazio per il libero traffico di capitali e servizi finanziari.
La caratteristica principale del nucleo europeo è il neomercantilismo: cioè la
dinamica economica e sociale di ciascun paese viene fatta dipendere
dall'ottenimento di eccedenze nei conti esteri che, concretamente, non possono
che realizzarsi in Europa stessa e, solo in parte, negli Usa. Con l'Asia è
impossibile. Ne consegue che il neomercantilismo del nocciolo europeo è un gioco
a somma zero. I due estremi neomercantilistici dell'Europa sono quello forte
tedesco e quello debole italiano. La Scandinavia, l'Olanda e l'Austria gravitano
su quello tedesco anche per le connessioni intersettoriali che esibiscono nei
confronti dell'economia della Germania.</DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT><BR>Questi paesi accumulano sistematicamente
un surplus con il resto dell'Europa drenando domanda effettiva europea. Invece
l'export italiano andava bene per l'insieme dell'economia nazionale solo grazie
a sgambetti ed a lire ballerine. Finita la disponibilità di questi espedienti
l'export dell'Italia può andar bene per le regioni della Lega e dell'ex Pci,
nonché per il tessile della Napoli di Saviano, ma non fa sistema; non traina
niente. Il colbertismo straccione di Tremonti e l'antieuropeismo della Lega
nascono da questa debolezza.</DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT><BR>In mezzo ai due neomercantilismi c'è la
Francia, la quale vorrebbe essere industrialmente come la Germania ma non ce la
fa, perché non ha la produzione dei macchinari tedeschi. Invece ha una
componente di beni di consumo di tipo italiano solo che in questo campo è
surclassata dalle regioni lego-rosse, nonché dalla Napoli di Saviano.</DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT><BR>Le stesse regioni, ma non Napoli, fanno
mangiare la polvere alla Francia, in termini di export, anche nel campo della
meccanica e dei macchinari intermedi senza minimamente intaccare la supremazia
tedesca sull'insieme del mercato dei macchinari. Un feroce critico thatcheriano
del trattato di Maastricht, Bernard Connolly (The Rotten Heart of Europe.
London: Faber and Faber, 1996) ebbe così a sintetizzare la mediazione che portò
al trattato: le grandi industrie tedesche vogliono il potere di mercato in
Europa mentre la Francia, non avendo il suo capitalismo la stessa capacità,
vuole usare il suo superiore apparato statale per controllare le istituzioni
europee e specificamente togliere alla Germania la supremazia del marco.</DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT><BR></DIV>
<DIV>Condivido queste osservazioni. Ho studiato le centinaia di pagine della
bocciata costituzione europea, da cui è scaturita la versione rimaneggiata di
Lisbona. Essa è imperniata a difendere le esigenze dei due obiettivi egemonici
in conflitto fra loro cercando poi, con infiniti ed anodini contorcimenti, di
creare dei tasselli per le altre componenti. A mio avviso l'unico modo per
affrontare la problematica europea è attraverso un'ottica federalistica. Ma a
ciò si oppongono sia gli stati che una buona fetta delle imprese che concentrano
potere economico e politico: possiamo pensare a Mediaset o alla Fiat senza
l'appoggio dello Stato italiano?</DIV>
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<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face="Comic Sans MS">Il 12 giugno Halevi si era soffermato sul
cannoneggiamento del sistema finanziario anglosassone da parte di Angela
Merkel<BR></FONT></DIV>
<DIV><FONT face="Comic Sans MS">e</FONT></DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT> </DIV>
<DIV><FONT color=#800080 size=6><STRONG>La svolta di Angela
Merkel</STRONG></FONT></DIV>
<DIV> </DIV><FONT face=Arial size=2></FONT></DIV>
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<DIV><BR> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT><BR>Joseph Halevi<BR><BR>In sintonia con
l'ultima visita di George Bush in Europa si è aperto ieri un nuovo fronte
economico, di non breve durata, tra la Germania e gli Stati uniti su una
questione di fondamentale importanza: l'assetto del sistema finanziario dopo lo
sconquasso causato dalla crisi del mercato dei mutui subprime. Ad aprire il
fronte è stata la cancelliera tedesca Angela Merkel in una lunga intervista al
Financial Times di ieri 11 giugno.<BR><BR>«Il modello di regolamentazione è
fallito dice Merkel», apriva il quotidiano londinese. Il riferimento esplicito è
al sistema finanziario anglosassone ed ai suoi criteri di regolamentazione e
controllo che sono rimasti sostanzialmente inalterati. Anche nelle riforme
suggerite dalla commissione internazionale dei G7 presieduta da Mario Draghi, il
Financial Stability Forum.<BR><BR>La cancelliera sviluppa la sua critica
contrapponendo economia produttiva ad economia finanziaria e scegliendo la prima
come asse portante dell'economia e della società della Germania Federale. In
questo contesto l'intervista di Angela Merkel riafferma l'egemonia tedesca in
Europa e formula, in un'accezione tutta adenaueriana, un nuovo ruolo per
l'Unione europea in contrapposizione al sistema finanziario anglo-americano. La
dimensione eminentemente tedesca della posizione di Merkel scaturisce dal fatto
che da due anni e mezzo la crescita della Germania è trainata dalle
esportazioni. Oggi il saldo netto nei conti correnti con l'estero si situa sul
6,1% del Pil, uno dei livelli più alti dal 1945 in poi. Tale eccedenza proviene
principalmente dagli scambi di merci con il resto dell'Unione europea, con gli
Usa e con i paesi petroliferi del medioriente. Nei confronti della Cina e del
Giappone invece la Germania è deficitaria. Malgrado ciò il saldo con la Cina dei
maggiori settori di macchinario è in attivo. Questo significa che l'eccedenza
con il resto dell'Europa è fondamentale per l'accumulazione di profitti per
l'insieme del capitalismo tedesco che può sostenere anche l'espansioni dei suoi
settori tenologici nel mercato cinese con cui la Germania è deficitaria. Il
potenziamento della dinamica industriale è, di conseguenza, un' esigenza
ineluttabile per la Germania. La politica neoliberale della Spd alterava le
priorità strategiche del capitalismo tedesco.<BR><BR>Capovolgendo invece
l'ottica favorevole al sistema finanziario anglosassone di tre anni fa, la
cancelliera Merkel afferma che «chi compra un laser in Germania sa cosa compra
mentre i mercati finanziari sono molto più opachi. Quando i finanzieri si
comportano in maniera irresponsabile, l'industria agisce da parafulmine
scaricando le tensioni nel terreno. Questo stato di cose deve cambiare in modo
che, sottolinea la Merkel, un paese come la Germania che ancora produce una
grande quantità di prodotti industriali non debba sopportarne i rischi
economici».<BR><BR>Per Angela Merkel garantire la continuazione della strategia
basata sulle esportazioni è essenziale ai fini della stabilità interna, per
aumentare il contenimento della Spd e per limitare la crescita del Linke (la
nuova sinistra tedesca). Infatti, sostiene la cancelliera, la dinamica
dell'export ha permesso di ridurre la disoccupazione (da 4,9 milioni nel 2005 ai
3,4 milioni oggi, ndr) aumentando gli introiti fiscali. Fatto questo che ha
permesso di eliminare il problema del finanziamento delle spese pensionistiche e
sociali.<BR>Tuttavia essa riconosce che i cittadini non hanno ancora beneficiato
della ripresa per via della stagnazione dei salari, dando quindi adito ad una
crescente ostilità nei confronti della globalizzazione. La crescita dell'export
tedesco deve essere pertanto messa al riparo della fragilità finanziaria
emanante dal sistema anglosassone sia per sostenere il welfare state della
Gemania che per uscire dalla deflazione salariale che riduce la fiducia nella
globalizzazione.<BR><BR>L'influenza del sistema finanziario anglosassone va
quindi ridotta facendo leva sulla dimensione della zona dell'euro ed il forte
valore della sua moneta, afferma la Merkel. Il suo punto di vista è opposto
tanto a quello campato in aria di Sarkozy, che vuole un rilancio
neomercantilista basato su un indebolimento del tasso di cambio dell'eurozona
nel suo complesso, quanto al colbertismo d'accatto di Tremonti che non va oltre
l'Italia della Lega e delle ex regioni rosse. In Europa, afferma Angela Merkel,
si dovrebbero definire regole e sistemi di valutazione (tipo agenzie di rating)
in maniera indipendente dai criteri anglosassoni: «il robusto sistema monetario
dell'euro non ha ancora assicurato una sufficiente influenza sulle regole che
governano i mercati finanziari». La cancelliera si dice favorevole alla
creazione di una società europea di rating volta a sfidare il dominio
della Moody e della Standard & Poor. Ognuna di queste frasi è una coltellata
per i politici e per le società finanziarie Usa e britanniche.</DIV>
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