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<p class="RassegnaStampa-Articolo-Titolo">Con il neo-liberismo oggi è tornato il Messico coloniale</p>
<p class="RassegnaStampa-Articolo-Autore">di Jaime Avilés</p>
<p class="RassegnaStampa-Articolo-Testata">su Il Manifesto del 02/09/2008</p>
<p class="RassegnaStampa-Articolo-Testo">A Felipe Calderón è sfuggito
il paese di mano. Ci sono 16 milioni di disoccupati, l'inflazione è la
più alta degli ultimi 12 anni e le bande dei narcos oggi controllano
importanti città e intere regioni, da Chihuahua allo Yucatán, lasciando
una scia di cadaveri, stragi alla luce del giorno, attacchi a
installazioni militari, corpi decapitati, sequestri e vendita di
protezione a innumerevoli negozi, da innocenti taquerías a rumorosi
antri di table dance. Tutti lo dicono, lo sanno, lo palpano: questo
piccolo «governo», che è stato solo una caricatura senza humour né
grazia, è sparito fra le zampe dei cavalli, la mancanza di
professionalità, l'improvvisazione, l'intreccio di complicità e la
mancanza assoluta di un progetto nazionale. Al principio, sulle rovine
del modello social-democratico del vecchio Pri, ci obbligarono a bere
le medicine «amare ma necessarie» del Fondo monetario internazionale.
Il presidente Miguel de la Madrid (1982-1988) mise all'asta le più di
mille imprese che formavano il patrimonio della nazione. Salinas de
Gortari (1988-1994) consumò la svendita. Ernesto Zedillo (1994-2000)
vendette le ultime ferrovie e la compagnia statunitense che le ha
comprate lo ha nominato amministratore. In soli quindici anni, il
neo-liberismo ha prodotto una concentrazione di ricchezza così ingiusta
come quella del Messico coloniale. Quando un gruppetto di ricconi si
impadronì di quasi tutte le imprese di stato - con l'eccezione di Pemex
e della Comisión Federal de Electricidad - il presidente Salinas
«aggiustò» la Costituzione così che Vicente Fox potesse succedergli,
anche se non subito. Secondo i dati ufficiali della Auditoria Superior
de la Federación , Fox «restituì» ai maggiori imprenditori del paese
quasi 60 miliardi di dollari. Questi non esitarono ad appoggiarlo
quando cercò di incarcerare Andrés Manuel López Obrador nel 2005 né a
finanziare la frode elettorale del 2006; sapevano che un'eventuale
vittoria del candidato di centro-sinistra avrebbe comportato la fine di
quello scandaloso privilegio. Dichiarato presidente grazie soprattutto
alla spinta decisiva del club dei ricchissimi, Calderón ha mantenuto la
politica foxista di non infastidirli con questioni tributarie: nel
primo semestre del 2008 ha già restituito loro circa 9 miliardi di
dollari sotto la voce di «incentivi fiscali». Sono tutti soldi che
provengono dalle vendite eccedenti del petrolio, vale a dire soldi
liberi da impegni che Pemex ha ricevuto grazie all'aumento costante del
prezzo degli idrocarburi. Per non aver investito queste risorse in
opere produttive, in creazione di posti di lavoro e in sviluppo di
infrastruttura in Messico, Fox e Calderón sono responsabili della più
bassa crescita economica dell'America latina, perfino inferiore a
quella di Haiti, che è una delle nazioni più povere del mondo. In
questi anni, tutte le ricchezze si sono concentrate in poche mani. La
miseria e la mancanza di orizzonti hanno spinto milioni di messicani a
emigrare illegalmente negli Stati uniti, mentre l'economia parallela
della droga reclutava centinaia di migliaia di giovani dalle campagne,
dalle periferie delle città e ora anche dalle classi medie per formare
le legioni dei sicari dei narcos. Nella manifestazione di sabato contro
la violenza e la criminalità hanno marciato molti cittadini di tutti
gli strati sociali per chiedere le dimissioni del governo federale per
la sua corruzione e incapacità manifesta. Ma sono sfilati anche alcuni
dei principali beneficiari delle politiche degli ultimi governi. Hanno
marciato per ripudiare la violenza della criminalità organizzata e
l'impotenza delle autorità. Sono gli stessi che si beneficiano della
restituzione delle imposte e vogliono comprare Pemex. Quattro anni fa
appoggiarono il tentativo di incastrare Amlo, poi finanziarono la
campagna di odio che polarizzò il paese e benedissero i brogli
elettorali del 2006, un vero colpo di stato. Ora, usando politicamente
la paura, l'angoscia, il dolore e la desolazione che affliggono anche i
loro parenti e amici, chiederanno che si installi una specie di
dittatura militare, con l'esercito nelle strade e l'abolizione delle
garanzie individuali, come misura estrema per evitare che Calderón cada
di fronte all'evidente insoddisfazione popolare. <br><br>©La Jornada/il manifesto</p><br><p class="RassegnaStampa-Articolo-Testo"><br></p><p class="RassegnaStampa-Articolo-Testo">MA VA', TUTTO IL MONDO E' PAESE, SEMBRA L'ITA(GL)ETTA DEI PADRONI FEDERALI E PUPARI VARI DI OGGI... <br></p><br /><hr />Foto, blog, amici. crea il tuo spazio online! <a href='http://home.services.spaces.live.com/' target='_new'>C'è Spaces!</a></body>
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