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<DIV><FONT size=2 face=Arial>
<DIV><FONT size=2 face=Georgia>Mi imbarazza l'autocitazione ma serve a
riallacciare il discorso: dicevo ieri in redditolavoro "</FONT><FONT size=2
face=Georgia>Mi <BR>sembra che i negriani, dopo il flirt con Bertinotti, abbiano
imparato la lezione e <BR>corretto il tiro, spostandosi su posizioni
limpidamente antagoniste. Molto <BR>più di tanti marxisti tozzi che, gratta
gratta, collaborano sempre alla, se <BR>Dio vuole, sbaraccata sinistra
arcobaleno, tipo Bellofiore, Brancaccio, <BR>Vasapollo ma anche, più terra
terra, mercantedivenezia, Ferrando e via di <BR>questo passo. Insomma è finita
la deriva filoistituzionale delle tute <BR>bianche.<BR>Inoltre gli va dato atto
che sono i più attivi nell'interrogarsi sulla <BR>crisi, su Obama, sulla
composizione di classe, nel fare inchiesta e <BR>promuovere
organizzazione."</FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2 face=Georgia>Un ottimo esempio è questa commendevole
iniziativa: </FONT><A href="http://www.bin-italia.org/index2.php"><FONT size=2
face=Georgia>http://www.bin-italia.org/index2.php</FONT></A><FONT size=2
face=Georgia> .</FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2 face=Georgia>Una vera miniera di materiali da cui ho estratto
due articoli.</FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2 face=Georgia><FONT size=3
face="Times New Roman"></FONT></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face=Georgia><FONT size=3 face="Times New Roman"><FONT size=2
face=Arial></FONT></FONT></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face=Georgia><FONT size=3 face="Times New Roman"><FONT size=2
face=Arial></FONT></FONT></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=2 face=Georgia><FONT size=3 face="Times New Roman">
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<H3><FONT color=#800080 size=7 face=Georgia>Il reddito minimo in
Europa</FONT></H3>
<DIV><FONT size=2 face=Georgia></FONT> </DIV>
<DIV> </DIV>
<DIV> </DIV>
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<DIV> </DIV></DIV>
<DIV><I>di Sandro Gobetti</I><BR < div><BR>
<DIV
style="FONT-STYLE: italic; COLOR: #003366; FONT-SIZE: 13px; FONT-WEIGHT: bold">
<P><FONT size=3>Un confronto tra diversi modelli di reddito minimo tra Italia ed
Europa</FONT></P></DIV>
<DIV>
<P>In Belgio è chiamato <EM>minimax</EM>, è un diritto individuale, garantisce
un reddito minimo di circa 650 euro a chi non dispone di risorse sufficienti per
vivere. Ne può usufruire chiunque, anche chi ha appena smesso di ricevere il
sussidio di disoccupazione. In Lussemburgo, il <EM>revenue minimum
guaranti</EM>, è definito legge universale, un riconoscimento individuale "fino
al raggiungimento di una migliore condizione personale". L'importo è di 1.100
euro mensili. In Austria c'è la <EM>sozialhilfe, </EM>un minimo garantito che
viene aggiunto al sostegno per il cibo, il riscaldamento, l'elettricità e
l'affitto per la casa. In Norvegia c'è lo <EM>Stønad til livsopphold</EM><EM>,
</EM>letteralmente "reddito di esistenza", erogato a titolo individuale senza
condizione di età, con un importo mensile di oltre 500 euro e la copertura delle
spese d'alloggio ed elettricità. In Olanda si chiama <EM>Beinstand</EM>, è un
diritto individuale e si accompagna al sostegno all'affitto, ai trasporti per
gli studenti, all'accesso alla cultura. Sempre in Olanda c'è il <EM>Wik, </EM>un
reddito di 500 euro destinato agli artisti per "permettergli di avere tempo di
fare arte".</P>
<P>Insomma, senza fare il giro di tutti i paesi europei, è evidente la
lontananza italiana da quell'Europa, che ha affrontato il tema della protezione
sociale e del reddito garantito.</P>
<P>Sono forme di intervento diversificate tanto che oggi possiamo parlare di 4
diversi modelli: quello centro europeo, che vede paesi come Belgio e Olanda
attuare queste forme già dagli anni settanta del novecento; il modello
anglosassone, che ha nella sua specificità le ristrettezze dettate dal <EM>means
test</EM>, che alcuni definiscono forma di controllo vero e proprio sugli
individui percettori; quello scandinavo che prevede un ampio ventaglio di
interventi sociali tra i quali il sostegno al reddito è uno dei capisaldi.</P>
<P>Ed infine il modello mediterraneo, che vede l'Italia e la Grecia essere gli
unici due paesi in Europa a non avere alcuna forma di reddito minimo. Anche la
Spagna ha avviato un dibattito nazionale che và nella direzione di proporre
forme di reddito sociale.</P>
<P>Per non fare la figura degli esterofili, và detto che queste forme di
protezione sociale hanno ciascuna alcune contraddizioni. Il fatto che molti di
questi modelli di <EM>welfare</EM> si siano trasformati in <EM>workfare</EM>, in
cui esiste l'obbligo per i beneficiari ad accettare qualsiasi lavoro pena la
sospensione del <EM>benefit</EM>, porta con se alcune conseguenze come quella di
nutrire una grossa fascia di lavori a bassa qualificazione. In questo senso, ad
esempio in Belgio, si sono definite delle forme di congruità, in cui un
beneficiario del reddito minimo può rifiutare il lavoro offerto se non è congruo
al suo inquadramento professionale precedente o alla sua formazione; una sorta
di riconoscimento delle competenze acquisite che frena il ribasso professionale
e salariale. Così come il <EM>means test</EM> di fattura inglese, rischia di
essere più una forma di controllo che di assistenza sociale. Bisogna però dire
che il sostegno al reddito, le forme di protezione sociale, permettono tempi di
vita sicuramente diversi e permettono ai cittadini di affrontare la propria
quotidianità in modo sicuramente meno pressante e vessatorio.</P>
<P>Il tema del reddito garantito, minimo, di base, di cittadinanza è una delle
centralità del dibattito internazionale. Non ultimo, il presidente boliviano Evo
Morales, lo pone come una delle riforme cardine, tanto che stà istituendo una
legge che garantisce un minimo vitale a tutte le persone sopra i 60 anni e per
un paese come la Bolivia questa è più di una buona notizia.</P>
<P>Il tema quindi è di quelli centrali. Le nuove garanzie sociali a fronte delle
trasformazioni produttive e del mercato del lavoro, la questione della
precarietà e dei diritti sul lavoro e oltre il lavoro, la questione della
redistribuzione della ricchezza, la lotta alle nuove povertà ritornano con
vigore nel dibattito generale. Anche Prodi, sui giornali, rilancia l'idea di un
reddito minimo di cittadinanza e, dopo l'esperienza campana, anche il Lazio stà
approntando una legge che và nella direzione di formalizzare un reddito sociale
garantito.</P>
<P>Il dibattito intorno a questo tema attraversa diversi ambienti, l'economista
Tito Boeri propone un reddito minimo a fronte di una maggiore
flessibilità, altri come Van Parijs o Guy Standing rilanciano da anni un
<EM>basic income </EM> per tutti come riconoscimento della produzione oltre
il lavoro formale e per la creazione di un modello di <EM>welfare</EM> attivo a
partire da una nuova idea di tempo liberato.</P>
<P>Non ultimi i movimenti sociali che in questi anni, con le <EM>mayday</EM>, le
manifestazioni nazionali per il reddito per tutti e con lo sciopero generale e
generalizzato dello scorso novembre, pongono la questione dei diritti sul lavoro
e oltre il lavoro: verso la rivendicazione di un reddito garantito.</P>
<P>Nessuno sotto questo punto di vista è stato fermo e questo tema attraverso
l'Europa intera. Eppure il rischio è che proprio la politica stenti a dare
risposte immediate. Il rischio è di diluire il tema in rivoli infinitesimali,
mentre il mercato risponde con i 4x2 per il rilancio dei consumi, con i
finanziamenti fino a trentamila euro anche per chi è pignorato, suggerisce di
accedere a forme di credito per acquistare il telefonino o pagare la vacanza, la
lavatrice o il mutuo di casa. Il rischio di una risposta del mercato alle nuove
esigenze emergenti produce un' economia drogata ed una popolazione sotto
continuo ricatto: oltre a quello del lavoro precario, quello del basso
salario, anche quello dei soldi, o meglio, degli interessi, da restituire.
In Italia c'è una buona percentuale di cittadini indebitati proprio perché
ricorrono spesso a finanziamenti per affrontare il loro quotidiano.</P>
<P>Anche Eurostat lancia l'allarme e avverte "<EM>che senza massicci interventi
di protezione sociale, l'Italia, con i suoi 11 milioni di poveri, rischia nei
prossimi anni di vedere il 42% della popolazione rimanere sotto la soglia di
povertà</EM>".</P>
<P>Sempre secondo Eurostat (dati 2005) l'Italia spende per il contrasto alla
disoccupazione lo 0,4% del Pil contro una media UE del 2,2% e del 3% della sola
Germania; per i giovani disoccupati con meno di 25 anni il tasso di copertura,
di sostegno al reddito, è dello 0,65% italiano contro il 57% del regno Unito, il
53% della Danimarca ed il 51% del Belgio (dati ItaliaLavoro) e questo
malgrado sia aumentata in Italia la <EM>zona grigia </EM>di chi, tra gli under
25, non cerca più lavoro, non fà formazione, non và più a scuola: oltre 800.000
giovani. Questo dato è aggravato dal fatto che se tra il 1991 e il 1997 la
probabilità per un giovane di trovare lavoro a tempo indeterminato era del 40%,
oggi si è ridotta al 25%. Secondo una ricerca della Provincia di Roma (2006), la
nostra capitale, a confronto con le altre grandi città europee, è l'unica ad
avere in attivo il tasso di disoccupazione giovanile in confronto alle
opportunità di occupazione. Per concludere con i dati, (Università La Sapienza
su dati Inps 2006), il 15% dei precari a carattere nazionale lavorano nella
capitale, il 48% sono donne e di queste il 70% denuncia di non arrivare a
guadagnare più di 10.000 euro l'anno.</P>
<P>Il tema del reddito garantito dunque è un tema centrale e a partire dalle
esperienze europee può essere rilanciato e riformulato come azione di contrasto
al ricatto della precarietà, un modo per rifiutare quel contratto sottopagato
appena offerto, un freno all'emergenza economica e al disagio di milioni di
persone; un aiuto concreto alle famiglie dei <EM>working poor </EM>che
testimoniano l'impossibilità di arrivare a fine mese, un modo per conquistare
spicchi di tempo a favore di una maggiore autonomia in grado di aprire nuove
opportunità, per fare nuova formazione, per acquisire nuove competenze, per
inserirsi nel mercato del lavoro attraverso scelte e non solo obblighi. Sotto
questo punto di vista le forme di reddito di base vigenti in molti paesi
europei, che pure non vanno lette come la panacea per tutti i nostri mali, visti
da quaggiù sembrano una favola.</P>
<P>C'è dunque bisogno di concretezza, non solo per rispondere alla
trasformazioni della nostra contemporaneità, ma perchè la questione del reddito
garantito in Italia, potrebbe farci sentire un pò meno cittadini europei di
serie B.</P>
<P><FONT face=Georgia></FONT> </P>
<P><FONT face=Georgia></FONT> </P>
<P><A href="http://www.bin-italia.org/article.php?id=1329"><FONT size=1
face=Georgia>http://www.bin-italia.org/article.php?id=1329</FONT></A><FONT
face=Georgia> </FONT></P>
<P><FONT size=2 face=Arial></FONT> </P>
<P><FONT size=2 face=Arial></FONT> </P>
<P> </P>
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<DIV>
<H3><FONT color=#800080>Decrescita e distribuzione del reddito: verso un reddito
d’esistenza sostenibile e compatibile</FONT></H3></DIV>
<DIV><I><FONT size=4>di Andrea Fumagalli</FONT></I></DIV><EM></EM></DIV>
<DIV><FONT size=4></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=4><EM></EM></FONT> </DIV>
<DIV><FONT size=4><EM></EM> </DIV>
<DIV><BR < div></DIV>
<DIV
style="FONT-STYLE: italic; COLOR: #003366; FONT-SIZE: 13px; FONT-WEIGHT: bold">
<P><FONT size=5>L'articolo analizza la proposta di decrescita e i possibili
effetti sulla distribuzione del reddito.</FONT></P></DIV>
<DIV>
<P><FONT size=3>Il primo teorico della decrescita - come è noto - è stato lo
statistico-economista Georgescu-Roegen, di nazionalità rumena, allievo di
Schumpeter, sicuramente il più noto studioso della crescita economica e del
ruolo del progresso tecnologico. Non vi è un paradosso nel sottolineare questo
trapasso generazionale. Schumpeter ha studiato il passaggio dal sistema del
capitalismo artigianale di fine XIX secolo, centrato sulla figura dell'operaio
di mestiere che opera in piccoli opifici, al sistema capitalistico taylorista
della metà del XX secolo, centrato sulla figura dell'operaio massa e basato
sulla produzione materiale di massa. Georgescu-Roegen, si trova ad
analizzare gli effetti della crescita economica quantitativa, nel momento
in cui tale crescita negli Stati Uniti inizia a mostrare i primi indizi di
cedimento. Siamo nei primi anni Settanta. Da un punto di vista teorico, il
concetto di decrescita diventa conseguenza inevitabile dei limiti imposti dalle
leggi di natura, allorquando il ricorso alle materie prime inizia a mostrarsi
insufficiente. La crescita della produzione materiale implica infatti un
utilizzo di quantità maggiori di materie prime ed energia, con un impatto sugli
eco-sistemi che cresce cumulativamente nel tempo. E' questa infatti la
conseguenza della seconda legge della termodinamica - detta anche legge di
entropia -, secondo la quale ogni attività produttiva comporta l'irreversibile
degradazione di quantità crescenti di materia ed energia. Un classico esempio
per meglio comprendere il fenomeno è il seguente: se uso un pezzo di carbone per
far funzionare una macchina brucio in un lasso di tempo infinitamente breve una
risorsa naturale per la cui formazione è stato necessario un lasso di tempo
infinitamente più lungo.</FONT></P>
<P><FONT size=3>Ne consegue che la crescita quantitativa della produzione e del
reddito in termini di merci materiali, essendo basata sull'impiego di risorse
non rinnovabili a breve termine, finirà per esaurire le basi energetiche e
materiali su cui si fonda.</FONT></P>
<P><FONT size=3>Tutto ciò inizia ad essere abbastanza noto. Non solo viene messo
in dubbio l'assioma ancora duro a morire (spesso tra le forze sindacali e della
sinistra) che esista una correlazione positiva tra crescita quantitativa della
produzione e crescita del benessere (come se il benessere - ovvero lo <EM>star
bene</EM> - dipendesse esclusivamente dalla quantità di merci possedute), ma
vengono minate anche le tradizionali regole della distribuzione capitalistica
del reddito. Secondo quest'ultima (come viene ancora oggi postulato nelle
politiche concertative del sindacato e nella politica dei redditi), la dinamica
del reddito da lavoro (ovvero il salario et similia) è in qualche modo legata
alla dinamica della produttività. Ne consegue che per far crescere il salario
diventa necessario far crescere la produttività e quindi, implicitamente, la
produzione.</FONT></P>
<P><FONT size=3>Il concetto di decrescita risulta quindi incompatibile con i
tradizionali processi redistributivi del fordismo.</FONT></P>
<P><FONT size=3 face=Arial></FONT> </P>
<P><FONT size=3>Negli ultimi trent'anni (1975-2005) nei paesi occidentali c'è
stato un cambiamento del paradigma di accumulazione, non solo in termini
quantitativi, ma soprattutto qualitativi. L'aspetto quantitativo può essere
riassunto da un periodo di crescita economica e un periodo di rallentamento, di
decrescita. Per quanto riguarda l'aspetto qualitativo si è passati da un sistema
di organizzazione capitalistica industriale, materiale, di cui vediamo oggi
l'effetto dei processi entropici, di dissoluzione di materia, di energia, di
impatto ambientale, ad un capitalismo "cognitivo"o "immateriale". Si tratta
dell'esito che le stesse forze capitalistiche hanno messo in moto per reagire
alla crisi degli anni '70 della grande impresa e del capitalismo
fordista.</FONT></P>
<P><FONT size=3>Georgescu Roegen chiamava lo sfruttamento delle materie
prime <EM>bioeconomia</EM>, intendendo che la produzione economica non è
neutrale rispetto alle risorse naturali esistenti. La società agricola era
affiancata al ciclo produttivo naturale, era la natura che prima decideva quante
arance c'erano, quanti mezzi di sussistenza agricoli, quanto foraggio, quante
mucche, quanto grano. Passando alla società industriale è l'uomo che interviene
direttamente ed è in grado, in maniera discrezionale, di decidere
combinando lavoro e mezzi di produzione e utilizzando le risorse naturali, quali
beni produrre. Si passa quindi dalla società agricola, contadina, caratterizzata
dalla scarsità, alla società industriale che tendenzialmente si pensa abbia una
produzione infinita, se le materie prime sono disponibili. Negli anni '70 è
iniziato un processo di raggiungimento di soglie di utilizzo di materie prime
naturali e questo ha portato alla necessità di trovare nuovi motori al processo
di valorizzazione. Il passaggio avvenuto negli anni ‘70 è stato il passaggio da
tecnologie meccaniche materiali finalizzate alla produzione di beni materiali,
quantitativi, tangibili fisicamente (automobili, lavatrici...) all'utilizzo di
tecnologie tendenzialmente immateriali, le tecnologie di linguaggio
comunicazionali/relazionali. Il cuore della tecnologia informatica, pur
producendo delle merci (computer), è la tecnologia digitale, cioè la
produzione di linguaggi artificiali, in grado di connettere due macchine
operative. Il valore non è tanto nel bene prodotto, quanto nell valore
della tecnologia immateriale che è contenuto nel bene venduto. A questo si
associa una creazione di valore che tende a slegarsi sempre più dalla
materialità fisica del bene, diviene una produzione di valore semiotica,
simbolica, che va a modificare la struttura delle preferenze e del consumo,
perché oggi non si comprano le scarpe perché se ne ha bisogno, ma perché
attraverso tale acquisto si acquisisce un simbolo che permette di avere
relazioni sociali. E' il risultato dell'evoluzione dei processi di consumo e di
produzione impliciti nel passaggio da un capitalismo mercantile materiale ad un
capitalismo che tende a valorizzare la sua produzione ed ottenere profitti
tramite la vendita di simboli e quindi di elementi di immaterialità.</FONT></P>
<P><FONT size=3>L'elemento centrale delle tecnologie di linguaggio è la
produzione di conoscenza. Il linguaggio non esiste di per sé, il linguaggio si
impara relazionandosi ed è trasmissione di informazione. Quando il linguaggio
diventa l'elemento portante del processo di accumulazione, significa che
qualunque atto di comunicazione linguistica diventa un atto produttivo. In
alcuni casi si è pagati direttamente per comunicare, altre volte in maniera
molto indiretta i processi comunicativi diventano in qualche modo meccanismo di
produzione. La conoscenza è oggi l'essenza del processo di accumulazione
così come lo era la macchina operatrice o la catena di montaggio cinquant'anni
fa. Lo sviluppo delle tecnologie di linguaggio, di comunicazione, di trasporto
hanno dato origine al processo di globalizzazione e di internazionalizzazione
della produzione. La fabbrica si è smantellata su scala globale, ciò che è
rimasto al centro del processo di accumulazione dei paesi avanzati sono le
funzioni di controllo, di generazione e produzione della tecnologia, design,
brand, marchio, marketing, tutte le funzioni leader e il processo di controllo
dei flussi monetari e finanziari. Oggi chi comanda non è chi possiede i mezzi di
produzione, ma chi controlla i flussi monetari e finanziari e chi controlla la
generazione di tecnologia. La proprietà intellettuale ha sostituito la proprietà
dei mezzi di produzione. Si parla, non a caso, di capitalismo cognitivo, perché
si tratta sempre di un sistema capitalistico, in cui però è la conoscenza,
l'immaterialità della trasmissione di conoscenza, la variabile chiave
attorno a cui ruota tutto il processo di nuova valorizzazione.</FONT></P>
<P><FONT size=3 face=Arial></FONT> </P>
<P><FONT size=3>In questo contesto, come si inserisce il concetto di decrescita?
Numerosi sono, al riguardo, le questioni aperte.</FONT></P>
<UL type=disc>
<LI><FONT size=3>La legge dell'entropia, riferita alle materie prime fisiche,
postulata da Georgescu-Roegen e che sta alla base della critica ecologica è
ancora valida in un capitalismo di produzione immateriale? </FONT>
<LI><FONT size=3>La conoscenza è un bene scarso, soggetto ad usura?
</FONT></LI></UL>
<P><FONT size=3 face=Arial></FONT> </P>
<P><FONT size=3>Teoricamente la conoscenza non è un bene scarso, anzi più si
diffonde più cresce; la conoscenza è un bene indivisibile che cresce
cumulativamente con il suo utilizzo su base sociale. E' quindi un bene "comune",
continuamente "rinnovabile" a costi tendenzialmente pari a zero (se non
esistessero i diritti di proprietà intellettuali - brevetti e
copyrights).</FONT></P>
<P><FONT size=3>Tuttavia, l'importanza della conoscenza nel processo di
accumulazione capitalistico porta ad estendere il concetto di bioeconomia di
Georgescu-Roegen.</FONT></P>
<P><FONT size=3>Potemmo dire che il passaggio da capitalismo industriale a
capitalismo cognitivo, può essere letto anche come passaggio dall'utilizzo di
capitale fisico - le macchine - all'utilizzo di capitale umano, anche se
l'espressione mi inorridisce. Le risorse per l'accumulazione sono all'interno
del nostro cervello. Ci si potrebbe chiedere: il capitale umano, che è quello
che produce conoscenza e la utilizza, è soggetto a usura? A questo punto il tema
della decrescita si coniuga con il tema della sussistenza e della preservazione
della razza umana, intesa come razza pensante, cognitiva, cerebrale. Nel momento
in cui utilizzo le variabili cerebrali di apprendimento, relazionali, affettive,
sessuali nell'attività lavorativa, la vita non è più semplicemente asservita al
lavoro - come avveniva nel taylorismo, ma viene messa al lavoro: è
<EM>accumulazione bioeconomica</EM>. È avvenuto un cambiamento qualitativo che
però implica una pervasività, un allungamento dei tempi di lavoro, un maggior
coinvolgimento, creazione di immaginario, percezioni, soggettività molto
diverse. È qui che c'è un processo di usura, entropico, che si trasferisce nella
vita delle persone. Siamo di fronte ad una sorta di paradosso del
benessere: l'evoluzione tecnologica ci libera parzialmente dalla fatica manuale
e offre maggiori possibilità di utilizzare il proprio tempo, ma
contemporaneamente percepiamo un deterioramento della qualità della
vita.</FONT></P>
<P><FONT size=3>Questo paradosso ne rimanda ad un altro: la produzione del
capitalismo cognitivo è basata sempre più sul lavoro di gruppo, di network
(<EM>cooperazione sociale</EM>), di cui spesso non si è coscienti e che utilizza
sempre più i beni comuni: processi di apprendimento, relazioni, sviluppo di
conoscenze, percorsi istruttivi. La storia degli individui, frutto dell'ambiente
familiare, delle relazioni sociali, della comunità, viene in un certo modo
espropriato, ed è su questa espropriazione che si basano le forme di
valorizzazione e nascono le forme di alienazione e sfruttamento. Dal lato
redistributivo, quanto più la cooperazione sociale e il lavoro in network
diventa la base del processo di accumulazione, tanto più si assiste ad
processo di individualizzazione dei rapporti di lavoro, che implica
precarizzazione e ricattabilità del lavoro Ed è tramite la precarietà del
lavoro che il bene comune della conoscenza viene espropriato per fini
privati.</FONT></P>
<P><FONT size=3>Il concetto di decrescita è, a questo punto del discorso,
strumento culturale di controimmaginazione e di coscienza. Perché tale strumento
sia in grado di operare, occorre che ci siano anche le condizioni materiali, di
continuità di reddito, servizi diretti e indiretti alla persona, che consentano
di sviluppare la riappropriazione delle forme del comune. In altri termine,
garantire un reddito in termini incondizionati (<EM>reddito di esistenza</EM>) è
la forma redistributiva più consona al capitalismo cognitivo in presenza di
decrescita per un uso consapevole delle risorse naturali.</FONT></P>
<P><FONT size=3>A tal fine, si rendono sempre più necessari interventi di
carattere fiscale e giuridico sulla espropriazione del comune su cui oggi vive
la società capitalistica di tipo immateriale. Solo attraverso queste due soglie,
lavoro culturale e intervento di riappropriazione del comune, può essere
declinata l'opzione della decrescita.</FONT></P>
<P> </P>
<P> </P>
<P> </P>
<P><A href="http://www.bin-italia.org/article.php?id=1320"><FONT
size=1>http://www.bin-italia.org/article.php?id=1320</FONT></A>
</P></DIV></FONT></DIV></DIV></DIV></DIV>
<DIV><BR></DIV></FONT></FONT></FONT></DIV></DIV></BODY></HTML>