<!DOCTYPE HTML PUBLIC "-//W3C//DTD HTML 4.0 Transitional//EN">
<HTML><HEAD>
<META content="text/html; charset=windows-1252" http-equiv=Content-Type>
<META name=GENERATOR content="MSHTML 8.00.6001.18241">
<STYLE></STYLE>
</HEAD>
<BODY bgColor=#ffffff>
<DIV><FONT size=2 face=Arial>
<DIV><FONT size=2 face=Georgia>
<DIV id=header>
<H1 id=blog-title><A href="http://fortresseurope.blogspot.com/">Fortress Europe
</A></H1>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV>Novembre 2008 </DIV>
<DIV>ROMA, 08 dicembre 2008 – Sono almeno 41 i migranti che hanno perso la vita
alle frontiere europee nel mese di novembre. Otto persone sono annegate nel <A
href="http://fortresseurope.blogspot.com/2006/02/nel-canale-di-sicilia.html"><FONT
color=#5588aa>Canale di Sicilia</FONT></A>, tre delle quali vittime di un
naufragio fantasma avvenuto al largo di Malta tra la fine di ottobre e l’inizio
di novembre. Quattro persone sono invece morte alle isole <A
href="http://fortresseurope.blogspot.com/2006/02/verso-spagna-e-canarie.html"><FONT
color=#5588aa>Canarie</FONT></A>, dopo essere state ricoverate in condizioni
critiche di salute a causa dei viaggi sempre più lunghi. In un caso la piroga
era partita addirittura dalla Guinea Conakry, a sud del Senegal, per una
traversata durata 12 giorni. Due vittime anche in <A
href="http://fortresseurope.blogspot.com/2006/02/nascosti-nei-tir.html"><FONT
color=#5588aa>Grecia</FONT></A>, mentre un naufragio al largo dell’isola
francese di <A
href="http://fortresseurope.blogspot.com/2006/01/isola-mayotte-francia.html"><FONT
color=#5588aa>Mayotte</FONT></A>, nell’oceano Indiano, ha fatto 21 morti. Nel <A
href="http://fortresseurope.blogspot.com/2006/02/nel-deserto-del-sahara.html"><FONT
color=#5588aa>deserto </FONT></A>algerino di Tanezrouft invece sono stati
ritrovati i resti di sei migranti.<BR><BR>E il bollettino avrebbe potuto essere
ben più grave. Forse disastroso. Lo <A
href="http://www.repubblica.it/2008/11/sezioni/cronaca/clandestini/clandestini/clandestini.html"><FONT
color=#5588aa>scorso 27 novembre</FONT></A> infatti i pescherecci Ariete,
Monastir, Ghibli, Twenty Two e Giulia P.G di Mazara del Vallo (Trapani) hanno
salvato la vita a 650 migranti a bordo di due navi bloccate nel mare in tempesta
al largo di Lampedusa. Le condizioni meteo erano talmente proibitive da non
permettere alle motovedette della Guardia costiera di lasciare gli ormeggi di
Lampedusa. Solo i grandi motopesca di Mazara del Vallo erano in grado di
affrontare la burrasca. E lo hanno fatto, rispondendo positivamente alla
richiesta della Capitaneria di porto. Un atto nobile ed eroico che ribadisce la
priorità del soccorso in mare, a due settimane dall'udienza finale del <A
href="http://fortresseurope.blogspot.com/2006/01/riprende-il-processo-ai-tunisini-per-il.html"><FONT
color=#5588aa>processo ai pescatori tunisini</FONT></A>, che si terrà il
prossimo 15 dicembre a Agrigento.<BR><BR>Nel <A
href="http://fortresseurope.blogspot.com/2006/01/libia-siamo-entrati-misratah-ecco-la.html"><FONT
color=#996699>reportage del mese</FONT></A> parliamo di Libia. Da anni Amnesty
International e Human Rights Watch parlano delle condizioni dei centri di
detenzione libici. Finalmente Fortress Europe è riuscita a visitarne alcuni, e
questo mese dedica un lungo racconto – con foto – alla vicenda dei 600 eritrei
prigionieri a Misratah. Sono in carcere da due anni. Chi non ha la fortuna di
rientrare nei piani di reinsediamento dell’Acnur è obbligato a fuggire. E a
tentare di nuovo la via del mare. A suo rischio e pericolo</DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<P id=description></P></DIV><!-- Begin #content -->
<DIV id=content><!-- Begin #main -->
<DIV id=main>
<DIV id=main2><!-- Begin .post -->
<DIV class=post><A name=1627426145917032875></A>
<H3 class=post-title><FONT size=5>Libia: siamo entrati a Misratah. Ecco la
verità sui 600 detenuti eritrei</FONT> </H3>
<DIV class=post-title><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV class=post-title><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV class=post-title><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV class=post-title><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV class=post-title><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV class=post-title><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV class=post-body>
<DIV style="CLEAR: both"></DIV>
<DIV>MISRATAH – Di notte, quando cessano il vociare dei prigionieri e gli
strilli della polizia, dal cortile del carcere si sente il rumore del mare. Sono
le onde del Mediterraneo, che schiumano sulla spiaggia, a un centinaio di metri
dal muro di cinta del campo di detenzione. Siamo a Misratah, 210 km a est di
Tripoli, in Libia. E i detenuti sono tutti richiedenti asilo politico eritrei,
arrestati al largo di Lampedusa o nei quartieri degli immigrati a Tripoli.
Vittime collaterali della cooperazione italo libica contro l’immigrazione. Sono
più di 600 persone, tra cui 58 donne e diversi bambini e neonati. Sono in
carcere da più di due anni, ma nessuno di loro è stato processato. Dormono in
camere senza finestre di 4 metri per 5, fino a 20 persone, buttati per terra su
stuoini e materassini di gommapiuma. Di giorno si riuniscono nel cortile di 20
metri per 20 su cui si affacciano le camere, sotto lo sguardo vigile della
polizia. Sono ragazzi tra i 20 e i 30 anni. La loro colpa? Aver tentato di
raggiungere l’Europa per chiedere asilo.<BR><BR>Da anni la diaspora eritrea
passa da Lampedusa. Dall’aprile del 2005 almeno 6.000 profughi della ex colonia
italiana sono approdati sulle coste siciliane, in fuga dalla dittatura di Isaias
Afewerki. La situazione a Asmara continua a essere critica. Amnesty
International denuncia continui arresti e vessazioni di oppositori e
giornalisti. E la tensione con l’Etiopia resta alta, cosicché almeno 320.000
ragazzi e ragazze sono costretti al servizio militare, a tempo indeterminato, in
un paese che conta solo 4,7 milioni di abitanti. Molti disertano e scappano per
rifarsi una vita. La maggior parte dei profughi si ferma in Sudan: oltre 130.000
persone. Tuttavia ogni anno migliaia di uomini e donne attraversano il deserto
del Sahara per raggiungere la Libia e da lì imbarcarsi clandestinamente per
l’Italia.<BR><BR>La prima volta che sentii parlare di Misratah fu nella
primavera del 2007, durante un incontro a Roma con il direttore dell’Alto
commissariato dei rifugiati a Tripoli, Mohamed al Wash. Pochi mesi dopo, nel
luglio del 2007, insieme alla associazione eritrea Agenzia Habeshia, riuscimmo a
stabilire un contatto telefonico con un gruppo di prigionieri eritrei che erano
riusciti a introdurre un telefono cellulare nel campo. Si lamentavano delle
condizioni di sovraffollamento, della scarsa igiene dei bagni, e delle precarie
condizioni di salute, specie di donne incinte e neonati. E accusavano gli agenti
di polizia di avere molestato sessualmente alcune donne durante le prime
settimane di detenzione. Amnesty International si espresse più volte per
bloccare il loro rimpatrio. E il 18 settembre 2007 la diaspora eritrea organizzò
manifestazioni nelle principali capitali europee.<BR><BR>Il direttore del
centro, colonnello ‘Ali Abu ‘Ud, conosce i report internazionali su Misratah, ma
respinge le accuse al mittente: “Tutto quello che dicono è falso” dice sicuro di
sé seduto alla scrivania, in giacca e cravatta, dietro un mazzo di fiori finti,
nel suo ufficio al primo piano. Dalla finestra si vede il cortile dove sono
radunati oltre 200 detenuti. Abu ‘Ud ha visitato nel luglio 2008 alcuni centri
di prima accoglienza italiani, insieme a una delegazione libica. Parla di
Misratah come di un albergo a cinque stelle comparato agli altri centri libici.
E probabilmente ha ragione. Il che è tutto un dire. Dopo una lunga insistenza,
insieme a un collega della radio tedesca, Roman Herzog, siamo autorizzati a
parlare con i rifugiati eritrei. Scendiamo nel cortile. Ci dividiamo. Intervisto
F., 28 anni, da 24 mesi chiuso qua dentro. Mentre lui parla mi accorgo che non
lo sto ascoltando, in verità provo a mettermi nei suoi panni. Abbiamo grossomodo
la stessa età, ma lui i migliori anni della vita li sta buttando via in un
carcere, senza un motivo apparente.<BR><BR>Dall’altro lato del cortile, Roman è
riuscito a parlare per qualche minuto con un rifugiato sottraendosi al controllo
degli agenti della sicurezza che vigilano sul nostro lavoro e riprendono con una
telecamera le nostre attività. Si chiama S.. Parla liberamente: “Fratello, siamo
in una pessima situazione, siamo torturati, mentalmente e fisicamente. Siamo qui
da due anni e non conosciamo quale sarà il nostro futuro. Puoi vederlo da solo,
guarda!” Intanto l’interprete li ha raggiunti e traduce tutto al direttore del
campo, che interrompe l’intervista e chiede a S. se per caso non vuole ritornare
in Eritrea. Lui risponde di no, intanto Roman lo invita ad allontanarsi a passo
svelto e a dire tutto quello che può prima che il direttore li interrompa di
nuovo. “Siamo qui da più di due anni, senza nessuna speranza. Siamo tutti
eritrei. Io sono venuto in Libia nel 2005. Cerchiamo asilo politico, a causa
della situazione nel nostro paese. Ma il mondo non si interessa a noi. Non è
facile stare due anni in prigione, senza nessuna comodità. Siamo in prigione,
non vediamo mai l’esterno. Tutti noi abbiamo bisogno della libertà, ecco di cosa
abbiamo bisogno”.<BR><BR>La polizia si avvicina nuovamente, Roman chiede a S. di
mostrargli la sua stanza. Zigzagando tra la folla nel cortile entrano nel
corridoio su cui danno la vista quattro stanze. All’interno, 18 ragazzi siedono
su coperte e materassini di gommapiuma stesi sul pavimento. La stanza misura
quattro metri per cinque. Al centro, una pentola gorgoglia sopra un fornellino
da campeggio. Non ci sono finestre. “Siamo in troppi qui, è sovraffollato – dice
S. – non vediamo la luce del sole e non c’è ricambio d’aria. Con il caldo
d’estate la gente si ammala. E anche di inverno, fa molto freddo di notte, la
gente si ammala”. Siamo a fine novembre, e i ragazzi indossano ciabatte da mare
e leggeri pullover. La stanza accanto è più grande, ci sono solo donne e
bambini, ma sono almeno il doppio.<BR><BR>A quel punto gli uomini della
sicurezza interrompono l’intervista e portano Roman fuori dal cortile, dove gli
presentano un rifugiato scelto dal direttore... “Sono anche io un prigioniero”
gli dice. Ma lui preferisce parlare con J.. Ha 34 anni e dice di essere stato in
13 prigioni diverse in Libia: “Alcuni di noi sono qui da quattro anni.
Personalmente sono a Misratah da tre anni. Siamo nella peggiore delle
situazioni. Non abbiamo commesso reati, stiamo solo chiedendo asilo politico. E
non ci viene concesso. Diteci almeno perchè? Visto che nessuno ci informa. Che
cosa sta succedendo là fuori? Diteci che cosa sarà di noi! Nemmeno l’Acnur. Non
ci dicono mai niente. Non ho più speranza, quando ci vado a parlare nemmeno mi
ascoltano. Pesavo 60 kg quando sono entrato, adesso ne peso 48, immagina
perché..”<BR><BR>Il colonnello Abu ‘Ud segue la conversazione grazie alla
traduzione in arabo dell’interprete, finché non riesce più a trattenersi. “Vuoi
ritornare in Eritrea?” chiede a J. interrompendo bruscamente l’intervista.
“Preferisco morire – gli risponde – tutti preferirebbero morire. “Se vuoi andare
in Eritrea ti rimpatriamo in un solo giorno” minaccia il direttore. “Ci vietano
di parlare con te” dice J. a Roman. Il direttore diventa furioso. Gli grida in
faccia “Dite loro che li rimpatrieremo tutti!”. Poi si avvicina a Roman e con un
urlo secco ordina: “Finito!”. Roman cerca di protestare, “abbiamo finito” gli
ripette Abu ‘Ud mentre gli agenti lo tirano per le braccia verso l’uscita.
Intanto il colonnello sale sui gradini e si rivolge a gran voce a tutti i
rifugiati che nel frattempo si sono avvicinati per vedere cosa stia accadendo.
“Se vi sentite maltrattati qui, organizzeremo il vostro rimpatrio
immediatamente. Avete già rifiutato di ritornare nel vostro paese, ecco perchè
siete in questo posto. Ma ognuno di voi è libero di ritornare in Eritrea! Chi
vuole andare in Eritrea?” chiede alla folla. “Nessuno!” gli fanno eco i
presenti. Scende e grida al mio collega “Hai visto! Adesso abbiamo veramente
finito”.<BR><BR>Saliamo di nuovo nell’ufficio del colonnello, che con toni molto
nervosi cerca di convincerci del suo impegno. Per ben due volte l’ambasciata
eritrea ha inviato dei funzionari per identificare i prigionieri. Ma i rifugiati
hanno sempre rifiutato di incontrarli. Hanno addirittura organizzato uno
sciopero della fame. Comprensibile, visto che rischiano di essere perseguitati
in patria. La Libia dovrebbe averlo capito da un pezzo, visto che il 27 agosto
2004 uno dei voli di rimpatrio per l’Eritrea partiti da Tripoli venne
addirittura dirottato in Sudan dagli stessi passeggeri. Ma il concetto di asilo
politico sfugge alle autorità libiche. Eritrei o nigeriani, vogliono tutti
andare in Europa. E visto che l’Europa chiede di controllare la frontiera,
l’unica soluzione sono le deportazioni. E per chi non collabora con le
ambasciate – come i rifugiati eritrei - la detenzione diventa a tempo
indeterminato. Così per tornare in libertà non rimangono che due possibilità.
Avere la fortuna di rientrare nei programmi di reinsediamento all’estero
dell’Alto commissariato dei rifugiati (Acnur), oppure provare a
scappare.<BR><BR>Haron ha 36 anni. A casa ha lasciato una moglie e due bambini.
Dall’Eritrea è scappato dopo 12 anni di servizio militare non retribuito. Dopo
due anni di detenzione a Misratah, la Svezia ha accettato la sua richiesta di
reinsediamento. E’ partito tre giorni dopo la nostra visita, il 27 novembre
2008, con un gruppo di altri 26 rifugiati eritrei del campo di Misratah, tra cui
molte donne. I posti lasciati vuoti saranno presto riempiti con i nuovi
arrestati. Già la settimana scorsa sono arrivate otto donne. I reinsediamenti
sono le uniche carte che l’Acnur riesce a giocare, da un anno a questa parte, in
Libia. Le prime 34 donne eritree lasciarono il campo di Misratah nel novembre
del 2007 e furono accolte dall’Italia, a Cantalice, un piccolo comune nella
campagna di Rieti. Per l’Italia fu il primo reinsediamento ufficiale di
rifugiati dai tempi della crisi cilena del 1973. Ma l’operazione venne censurata
dagli uffici stampa del Ministero dell’Interno, per non sollevare polemiche tra
i leghisti. Insieme alle donne arrivarono 5 uomini e una bambina nata pochi
giorni prima.<BR><BR>Da allora, circa 200 rifugiati sono stati trasferiti da
Misratah in vari paesi. Oltre all’Italia (70), anche in Romania (39), Svezia
(27), Canada (17), Norvegia (9) e Svizzera (5). A snocciolarmi i dati è Osama
Sadiq. E’ il coordinatore dei progetti della International organisation for
peace care and relief (Iopcr). Una importante ong libica, che si dichiara non
governativa, ma che tanto indipendente non deve essere, visto che ha al suo
interno ex funzionari del ministero dell’interno e della sicurezza. E che è
talmente influente, che l’Acnur riesce a entrare a Misratah soltanto sotto la
sua copertura. Proprio così. In un paese dove transitano ogni anno migliaia di
rifugiati eritrei, ma anche sudanesi, somali ed etiopi, l’Acnur conta meno di
una ong. Non ha nemmeno un accordo di sede. E non riesce a spendere una parola a
livello internazionale per la liberazione dei 600 prigionieri di Misratah.
Probabilmente a dettare la linea politica dell’Acnur in Libia sono fragili
equilibri diplomatici da non rompere per non rischiare di farsi cacciare da un
Paese che non ha nemmeno mai firmato la Convenzione di Ginevra. Eppure la Libia
sta conoscendo una importante fase di apertura. E il governo lavora a una nuova
legge sull’immigrazione che però – secondo chi ha letto la bozza - non contiene
nessun riferimento alla protezione dei rifugiati.<BR><BR>Per quelli che non
rientrano nei progetti di reinsediamento dell’Acnur, non rimane che l’ennesima
fuga. Koubros è uno di loro. Lo incontriamo sulle scale della chiesa di San
Francesco, nel quartiere Dhahra di Tripoli, dopo la messa del venerdì mattina.
Un gruppo di eritrei è in fila per lo sportello sociale della Caritas, dove
lavora l’infaticabile suor Sherly. A Misratah ha passato un anno. Era stato
arrestato a Tripoli durante una retata nel quartiere di Abu Selim. E’ scappato
durante un ricovero in ospedale. Poi però è stato di nuovo arrestato e portato
al carcere di Tuaisha, vicino all’aeroporto di Tripoli. Dove è riuscito a
corrompere un poliziotto facendosi inviare 300 dollari dagli amici eritrei in
città. Siede vicino a Tadrous. Anche lui eritreo, anche lui disertore in fuga
dal suo paese. E’ uscito due settimane fa dal carcere di Surman. Era stato
condannato a cinque mesi di galera dopo essere stato trovato in mare con altri
90 passeggeri, a Zuwarah. In carcere si è preso la scabbia. Gli chiediamo di
accompagnarci nel quartiere di Gurgi, dove vivono gli eritrei pronti a partire
per l’Italia. Dice che è pericoloso. Gli eritrei vivono nascosti. La nostra
presenza potrebbe allertare la polizia e provocare una retata. Yosief però la
pensa diversamente, vive in una zona diversa. Lo seguiamo.<BR><BR>Scendiamo in
una traversa sterrata di Shar‘a Ahad ‘Ashara, l’undicesima strada, a Gurgi. Qui
vivono molti immigrati africani. L’appartamento è di proprietà di una famiglia
chadiana, che ha affittato a sette eritrei le due piccole stanze sul terrazzo.
Ci togliamo le scarpe per entrare. I pavimenti sono coperti di tappeti e
coperte. Ci dormono in cinque ragazzi. La televisione, collegata alla grande
parabola montata sul terrazzo, manda in onda videoclip in tigrigno di cantanti
eritrei. E’ un posto sicuro, dicono, perchè l’ingresso della casa passa
dall’appartamento della famiglia chadiana, che è a posto coi documenti. Si sono
trasferiti qui da poco, dopo le ultime retate a Shar‘a ‘Ashara. Adesso quando
sentono la sirena della polizia non ci fanno più caso. Prima si correvano a
nascondere. Ci offrono cioccolata, una salsa di patate e pomodoro con del pane,
7-Up e succo di pera.<BR><BR>Continuiamo a parlare delle loro esperienze nelle
carceri libiche. Ognuno di loro è stato arrestato almeno una volta. E tutti sono
usciti grazie alla corruzione. Basta pagare la polizia, da 200 a 500 dollari,
per scappare o per non essere arrestati. I soldi arrivano con Western Union,
grazie a una rete di solidarietà tra gli eritrei della diaspora, in Europa e in
America.<BR><BR>Anche Robel è stato a Misratah. C’ha passato un anno. Ci mostra
il certificato di richiedente asilo rilasciato dall’Acnur. Scade l’11 maggio
2009. Ma con quello non si sente al sicuro. “Un mio amico è stato arrestato lo
stesso, glielo hanno strappato sotto gli occhi”. Durante la detenzione, ha
scritto un appello alla comunità internazionale, con un gruppo di sei studenti
eritrei.<BR><BR>Sul muro, accanto al poster di Gesù, c’è una foto in bianco e
nero di una bambina di pochi anni, con su scritto il suo nome, Delina, con il
pennarello. L’ho riconosciuta. E’ la stessa bambina che giocava sulle scale
della chiesa con Tadrous. Anche lei dovrà rischiare la vita in mare.
“L’importante è arrivare nelle acque internazionali”, dice Yosief. Gli
intermediari eritrei (dallala) che organizzano i viaggi, hanno diverse
reputazioni. Ci sono intermediari spregiudicati e altri di cui ci si può fidare.
Ma il rischio rimane. Non posso non pensarci, mentre sull’aereo di ritorno per
Malta, comodamente seduto e un po’ annoiato, sfoglio la mia agenda con i numeri
di telefono e le email dei ragazzi eritrei conosciuti a Tripoli. Prima della mia
partenza per la Libia, un amico etiope mi aveva dato il numero di telefono di un
suo compagno di viaggio, ancora a Tripoli, un certo Gibril. Ho provato a
chiamarlo per tutto il tempo, ma il numero era spento. Nell’orecchio mi risuona
ancora l’incomprensibile messaggio vocale in arabo. Speriamo che sia arrivato in
Italia, o piuttosto a Misratah. E non in fondo al mare.<BR><BR></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: right; FONT-STYLE: italic">(Un ringraziamento speciale a
Roman Herzog che ha contribuito alla stesura del pezzo e senza il quale non
sarebbe stato possibile questo viaggio)</DIV>
<DIV><EM></EM> </DIV>
<DIV><EM></EM> </DIV>
<DIV><A
href="http://fortresseurope.blogspot.com/2006/01/libia-firmate-la-petizione-on-line.html"><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold"><FONT color=#5588aa>E adesso firmate la petizione
sulla Libia al Parlamento italiano</FONT></SPAN></A></DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><EM></EM> </DIV>
<DIV><EM><A
href="http://fortresseurope.blogspot.com/2006/01/libia-siamo-entrati-misratah-ecco-la.html"><FONT
size=1>http://fortresseurope.blogspot.com/2006/01/libia-siamo-entrati-misratah-ecco-la.html</FONT></A></EM></DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial></FONT> </DIV><FONT face=Arial></FONT></DIV>
<DIV class=post-body> </DIV>
<DIV class=post-body> </DIV>
<DIV class=post-body><STRONG><FONT color=#800080 size=5>La fuga dopo la fuga.
Reportage fotografico da Patrasso</FONT></STRONG> </DIV>
<DIV class=post-body><STRONG><FONT color=#800080
size=5></FONT></STRONG> </DIV>
<DIV class=post-body><STRONG><FONT color=#800080
size=5></FONT></STRONG> </DIV>
<DIV class=post-body><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV class=post-body> </DIV>
<DIV class=post-body>PATRASSO, 3 dicembre 2008 - Uno straordinaria galleria
fotografica ricostruisce la vita dei rifugiati nella baraccopoli che da dieci
anni sorge intorno al porto greco di Patrasso. La quotidianità al campo, i
tentativi di nascondersi nei camion pronti a imbarcarsi sui traghetti di linea
diretti in Italia, le violenze brutali della polizia greca e i sogni di questi
giovanissimi esuli. Tutto in 180 meravigliosi scatti firmati Salinia Stroux,
Ioana Katsarou, Giorgos Poutachidis e Nassim Mohammadi (del gruppo <A
href="http://fotofraxia.blogspot.com/"><FONT
color=#5588aa>Fotofraxia</FONT></A>) e di Juma Khan Karimi e Georgos Moutafis.
Da ormai dieci anni Patrasso è un passaggio obbligato per i rifugiati afgani e
kurdi. È la loro fuga dopo la fuga. Perchè un paese come la Grecia, che rifiuta
il 99% delle domande d'asilo, non può considerarsi un paese sicuro per un
richiedente asilo. E allora il viaggio riprende. Prima verso l'Italia e poi
magari verso la Francia o l'Inghilterra. Negli ultimi mesi gli arrivi a Patrasso
sono raddoppiati. E la tensione con la polizia è cresciuta causando scontri,
arresti e deportazioni. Alcuni ragazzi <A
href="http://www.ekathimerini.com/4dcgi/_w_articles_politics_2_04/12/2008_102726"><FONT
color=#996699>sono stati feriti</FONT></A> durante gli scontri. E intanto alcuni
<A
href="http://www.ekathimerini.com/4dcgi/_w_articles_politics_2_26/11/2008_102489"><FONT
color=#5588aa>ufficiali del porto sono finiti sotto indagine </FONT></A>per
favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.<BR>Uno speciale ringraziamento a
Salinia Stroux per averci fornito il materiale
<DIV><FONT face=Arial></FONT><FONT face=Arial></FONT><FONT
face=Arial></FONT><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV> </DIV>
<DIV> </DIV>
<DIV>Cliccare per vedere le immagini</DIV>
<DIV> </DIV>
<DIV><A
href="http://fortresseurope.googlegroups.com/web/patrasso%20italiano2.swf?gda=sb4oCkwAAACUV1aqWe_X8bZEpLsWjQDI1EpsdKayLdmX-TU9NKkqAWhTu2FlazBKoAUTMtlzBU2SWa2i2I7CnKxrYzXsXTMc_Vpvmo5s1aABVJRO3P3wLQ"><FONT
size=1>http://fortresseurope.googlegroups.com/web/patrasso%20italiano2.swf?gda=sb4oCkwAAACUV1aqWe_X8bZEpLsWjQDI1EpsdKayLdmX-TU9NKkqAWhTu2FlazBKoAUTMtlzBU2SWa2i2I7CnKxrYzXsXTMc_Vpvmo5s1aABVJRO3P3wLQ</FONT></A></DIV><FONT
face=Arial></FONT></DIV>
<DIV class=post-body> </DIV>
<DIV class=post-body><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV class=post-body><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV class=post-body><FONT face=Arial></FONT> </DIV>
<DIV class=post-body> </DIV>
<DIV class=post-body>
<P style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt" class=MsoNormal><B
style="mso-bidi-font-weight: normal"><SPAN style="FONT-FAMILY: Garamond"><A
href="http://fortresseurope.blogspot.com/2005/12/video.html"><SPAN
style="TEXT-DECORATION: none; text-underline: none"><FONT size=5>Destinos
clandestinos</FONT></SPAN></A></SPAN></B><SPAN
style="FONT-FAMILY: Garamond"><FONT size=5>.</FONT> Documentario unico. Il
giornalista Dominique Mollard, riesce a imbarcarsi su una barca per le Canarie
in Mauritania. Ecco il video di quel viaggio <A
href="http://fortresseurope.blogspot.com/2005/12/video.html">http://fortresseurope.blogspot.com/2005/12/video.html</A></SPAN></P></DIV></DIV></DIV></DIV></DIV></FONT></DIV></FONT></DIV></BODY></HTML>