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<BODY bgColor=#ffffff>
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<DIV><FONT face=Tunga>
<H1 dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left"><FONT color=#800080>Speciale Lampedusa -
Tutta l’isola contro il Cpt</FONT></H1>
<DIV dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left"><FONT face=Arial
size=2></FONT> </DIV>
<DIV dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left"><FONT face=Arial
size=2></FONT> </DIV>
<H2 dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left">La cronaca, i commenti, gli appelli, le
foto dall’isola in rivolta</H2>
<DIV class=arttesto dir=ltr>
<P class=spip><STRONG class=spip>La cronaca</STRONG></P>
<P class=spip><STRONG class=spip>Domenica 25 gennaio</STRONG><BR>Situazione
tranquilla? Non per Angela Maraventano che per anni ha speculato sulla
disperazione dei migranti approdati a Lampedusa ritagliandosi, con i suoi
proclami anti-immigrazione, il ruolo addirittura di vicesindaco dell’isola.
"Traditrice!" Così gli isolani hanno risposto alla senatrice della Lega Nord che
invano ha tentato di promuovere la linea del governo. "Lampedusa non si vende"
queste le accuse dopo le quali la Maraventano ha lasciato la piazza con tanto di
scorta dei Carabinieri. Intanto il Minostro maroni ha confermato la folle idea
di tenere stipati i migranti nell’isola fino al loro rimpatrio. Di curioso,
anche se ormai nulla è più stupefaciente, è la previsione di <A class=spip_in
href="http://www.meltingpot.org/articolo13874.html">un rimpatrio collettivo</A>
senza neppure il passaggio per una identificazione certa dei presenti: tutti
tunisini dicono dal Viminale in previsione di un incontro che questa settimana
il Ministro dovrebbe avere con le rappresentanze tunisine, per stringere un
accordo di cooperazione in materia di rimpatri. Fino a qualche settimana per
sfruttare <A class=spip_in
href="http://www.meltingpot.org/articolo13802.html">gli accordi
Italia-Egitto</A>, a tutti i migranti da rimpatriare veniva attribuita la
nazionalità egiziana. Sarà un caso...Intanto l’esterno del cpa è stato reso
inaccessibile dai blocchi dei militari per evitare che altre manifstazioni di
solidarietà possano mettere in contatto migranti e lampedusani. </P>
<P class=spip><FONT face=Arial size=2></FONT> </P>
<P class=spip><FONT face=Arial size=2></FONT> </P>
<H1 dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left"><FONT color=#800080>Lampedusa, tensione in
piazza</FONT></H1>
<DIV dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left"><FONT face=Arial
size=2></FONT> </DIV>
<DIV dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left"><FONT face=Arial
size=2></FONT> </DIV>
<H2 dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left">l’ex vice-sindaco scortato a casa</H2>
<H3 dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left"><FONT size=3>tratto da:
repubblica.it</FONT></H3>
<DIV class=artabstract dir=ltr>Cittadini infuriati al comizio di Angela
Maraventano, Lega: "Ci hai tradito" <BR>De Rubeis: "Non siamo in vendita,
vogliono trasformarci in un’isola-prigione"</DIV>
<DIV class=artchapo dir=ltr>Maroni non si ferma: "Non c’è nessuna emergenza, è
la sinistra che aizza i clandestini"</DIV>
<DIV class=arttesto dir=ltr>
<P class=spip>Torna la tensione a Lampedusa. Stavolta non a causa dei
clandestini che ieri sono fuggiti in massa dal centro di accoglienza temporanea
e poi riportati dentro. Oggi la tensione è tutta politica. E la questione è il
progetto del governo, ribadito ancora in queste ore da Roberto Maroni, di aprire
nell’isola un centro di identificazione e di espulsione degli extracomunitari in
arrivo in Italia. A scatenare la rabbia della popolazione locale è stato il
comizio dell’ex vice-sindaco di Lampedusa, la leghista Angela Maraventano,
costretta a tornare a casa scortata dai carabinieri.</P>
<P class=spip>Durante il suo intervento dal palco in piazza sono piovuti insulti
e accuse di "tradimento". Alcuni cittadini hanno cercato di avvicinarsi mentre
la senatrice stava cercando di spiegare le ragioni del governo.</P>
<P class=spip>Subito dopo di lei ha preso la parola l’attuale sindaco Dino De
Rubeis, su posizioni opposte a quella della parlamentare leghista. "Lampedusa
non è in vendita. Siamo davanti - ha detto - ad uno Stato prepotente che vuole
imporci le sue scelte e vuole trasformare quest’isola in un carcere a cielo
aperto. Pensano a creare centri di identificazione ed espulsione per far fronte
ad una politica che, finora, si è rivelata fallimentare".</P>
<P class=spip>Polemiche che sono lo specchio di quelle in corso a livello
nazionale. Oggi il ministro dell’Interno è tornato all’attacco e ha accusato
l’opposizione di "aver aizzato" gli immigrati in rivolta a Lampedusa. Chi ha
fatto questo, ha detto Maroni, "se ne assumerà le responsabilità anche se
penali". "Non esiste un’emergenza" nell’isola, ha aggiunto, e il governo non ha
intenzione di cedere, gli immigrati "resteranno a Lampedusa fino al
rimpatrio".</P>
<P class=spip>Rimpatrio che avverrà in tempi brevi, assicura anche Umberto
Bossi: "In queste settimane dovrebbe partire una nave intera di immigrati che li
riporti in Tunisia". Il leader della Lega appoggia la linea di Maroni: è giusto
tenere i clandestini che sbarcano a Lampedusa sull’isola fino al loro rimpatrio:
"Fa bene perché se li porti in giro in tutta Italia non li trovi più, scappano.
Da Lampedusa sanno che per uscire possono solo tornare a casa". Lo stesso Maroni
conferma che martedì sarà in Tunisia per "definire i termini per ottenere
rimpatri diretti anche lì".</P>
<P class=spip>Intanto all’ingresso del Cpa è stato allestito un posto di blocco
per impedire l’accesso alla struttura. All’interno del centro gli oltre mille
extracomunitari, che ieri si erano allontanati ed erano scesi in piazza per
chiedere il trasferimento in centri di permanenza temporanea di altre Regioni,
sono rientrati tutti.</P></DIV>
<P dir=ltr style="COLOR: #666666; TEXT-ALIGN: left"><FONT color=#000000
size=2>[ domenica 25 gennaio 2009 ]</FONT></P>
<P dir=ltr style="COLOR: #666666; TEXT-ALIGN: left"><FONT color=#000000
size=2></FONT> </P>
<P dir=ltr style="COLOR: #666666; TEXT-ALIGN: left"><FONT color=#000000
size=2></FONT> </P>
<P dir=ltr style="COLOR: #666666; TEXT-ALIGN: left"><FONT color=#000000
size=2></FONT> </P>
<P dir=ltr style="COLOR: #666666; TEXT-ALIGN: left"><FONT color=#800080
size=6><STRONG>Lampedusa in rivolta contro Maroni</STRONG></FONT></P>
<P dir=ltr style="COLOR: #666666; TEXT-ALIGN: left"><STRONG><FONT color=#800080
size=6></FONT></STRONG> </P><FONT face=Arial color=#000000 size=2>
<DIV class=catenaccio style="PADDING-BOTTOM: 12px; PADDING-TOP: 12px"><FONT
face=Tunga size=4><STRONG>"Venduta, buffona": la folla contesta la leghista
Maraventano, ex vicesindaco</STRONG></FONT></DIV>
<DIV class=sezione><FONT face=Tunga>GIUSEPPE ZACCARIA</FONT></DIV>
<DIV class=articologirata><FONT face=Tunga>INVIATO A LAMPEDUSA</FONT></DIV>
<DIV class=articologirata><FONT face=Tunga><BR><FONT size=3>Ho diritto a
difendermi, sono sempre stata dalla vostra parte, ogni volta che entro al Senato
parlo di Lampedusa...», grida al microfono Angela Maraventano, senatrice della
Lega e vice sindaco fino all’altro ieri, ma dalla piazza del municipio la folla
degli isolani continua a subissarla con grida di «venduta», «vattene», «sta’
zitta buffona». Arrampicata sul bordo di un monumento (qualcuno ha impedito che
si erigesse un palco), circondata da pochi fedelissimi, scortata dai
carabinieri, impugnando un megafono quando il microfono le viene subdolamente
staccato, la leghista isolana tenta di insistere: «Nessuno mi fa paura, io sono
stata tradita ma non ce l’ho con voi, ce l’ho con vi ha sobillati... Lampedusa
sta per risolvere tutti i suoi problemi, avremo strade e scuole e fiori,
riavremo l’aereo per Roma e un’estate piena di turisti, ve lo garantisco...».
<BR><BR>«Che pensate, io per le strade non voglio certo i negri». Gli insulti
salgono di tono, ogni volta che la donna accenna a Berlusconi, a Maroni, alla
Lega Nord dalla folla partono muggiti di disapprovazione e s’alza un brulicare
di gesti osceni. Lei ha una pervicacia ammirevole, accusa, blandisce, promette
ma non riesce a scalfire il muro d’insulti, anzi a un certo momento, quando
qualcuno nell’uditorio dice «andiamocene» e la piazza comincia a svuotarsi,
rimane interdetta. «Insomma, io sto comiziando, ho il diritto di essere
ascoltata...» fa mentre il tono di voce si fa stridulo, e infine il senatore
scoppia a piangere. Ai bordi della piazza campeggia il lenzuolo con su scritto:
«Maroni affonda Lampedusa, Lampedusa affonda Maroni». Nell’isola divenuta
prigione è giunto il momento del tutti contro tutti. Dovunque si tenti di
sondare umori e tremori i segnali annunciano il peggio: nell’ex base militare
Loran, in quello che dovrà essere il Centro di Espulsione, fra le 85 migranti
appena spostate, algerine e tunisine hanno iniziato uno sciopero della fame. In
una sala accanto, alla faccia della solidarietà, le donne nigeriane passano il
tempo giocando a tombola con un medico. Il centro di accoglienza adesso è
isolato da un posto di blocco, eppure, a quanto si sa, una quindicina di
fuggitivi manca ancora all’appello e, mentre all’esterno continuano le ricerche
di questi tremebondi Papillon, all’interno la tensione continua a montare. Fra i
1300 stranieri ammassati nel Cpa sei uomini sono stati arrestati dalla polizia
di Agrigento, erano già stati colpiti da inutili provvedimenti di espulsione. Ma
i circa 800 maghrebini hanno capito che si annuncia la prova di forza e per
questo i capi sembrano pronti a organizzare proteste anche sanguinose. Un
messaggio fatto filtrare all’esterno dice: «Qui c’è gente che pur di non essere
rimandata indietro è pronta a togliersi la vita». La presenza di poliziotti e
carabinieri si è infittita con l’arrivo di altri 180 uomini e per martedì
Lampedusa annuncia un altro sciopero generale. <BR><BR>Voci non controllabili
parlano dell’arrivo sull’isola di alcuni militanti di «Forza Nuova», ma gruppi
di tendenza opposta potrebbero avere identico interesse a provocare l’incendio.
E mentre l’Europa comincia a osservare con sempre maggiore imbarazzo
quest’isoletta impazzita per fare il conto di quante leggi e trattati saranno
violati, la partita si approssima a mosse decisive che, se diamo retta alla
senatrice Maraventano potrebbero avvenire in una settimana, anzi in pochi
giorni, anzi martedì. Questo almeno è quanto lei ha detto in piazza mentre
cercava di placare la furia dei concittadini. «Io che frequento le stanze del
potere... (urla e fischi)... vi garantisco che Lampedusa è protetta dal governo
(urla, fischi e pernacchie)... e che tutto sarà risolto fra una settimana, fra
pochi giorni, già martedì... (diluvio di insulti)». Le prossime ore diranno se
si trattava di un annuncio o di un espediente, ma certo il comizio della
senatrice ieri è valso solo a sancire una dichiarazione di guerra, anzi più
d’una. <BR><BR>Il ribollente popolo di Lampedusa dichiara guerra alla
Maraventano, a Maroni e di conseguenza al governo, la senatrice al sindaco Dino
De Rubeis («è stato lui a trascinarvi in piazza, cari concittadini, e la
pagherà...), il sindaco al ministro dell’Interno («può denunciare chi vuole, in
questo Paese è ancora consentito esprimere opinioni»), il Pd locale alla
leghista («si è fatta riportare a Lampedusa da un automezzo dei vigili del
fuoco, ha commesso abuso di potere»), i maghrebini a nigeriani e togolesi, che
non rischiano espulsione immediata. Il mare grosso impedisce da giorni l’arrivo
della nave da Porto Empedocle che porta rifornimenti, il continuo viavai di
forze dell’ordine rende molto difficile trovare posto sull’aereo per Palermo, la
vista del corso durante il comizio di ieri dava l’immagine di un paese
militarizzato, con lunghe teorie di jeep e blindati lungo la strada principale e
nelle traverse. E a rafforzare il senso d’insana frenesia che continua a
spandersi, ieri fra i cartelli che campeggiavano in piazza quello del comitato
«Sos Pelagie» diceva testualmente: «Il futuro dei nostri figli è nelle nostre
decisioni. Révolution!».</FONT></FONT></DIV>
<DIV class=articologirata><FONT face=Tunga></FONT> </DIV>
<DIV class=articologirata><FONT face=Tunga></FONT> </DIV>
<DIV class=articologirata><FONT face=Tunga></FONT> </DIV>
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<DIV class=articologirata><A
href="http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200901articoli/40383girata.asp"><FONT
face=Tunga
size=1>http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200901articoli/40383girata.asp</FONT></A></DIV></FONT>
<P dir=ltr style="COLOR: #666666; TEXT-ALIGN: left"><FONT face=Arial
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<P dir=ltr style="COLOR: #666666; TEXT-ALIGN: left"><FONT face=Arial
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<P dir=ltr style="COLOR: #666666; TEXT-ALIGN: left"><FONT
color=#000000><STRONG>Sabato 24 gennaio</STRONG></FONT></P><FONT
color=#000000><STRONG></STRONG></FONT></DIV><FONT
color=#000000><STRONG></STRONG></FONT></FONT></DIV>
<DIV><FONT face=Tunga><FONT color=#000000><STRONG>
<P class=arttesto dir=ltr
style="COLOR: #666666; TEXT-ALIGN: left"><BR></STRONG></FONT><FONT
color=#000000>Le proteste non si fermano e sull’isola avviene ciò che solo
qualche mese fa sarebbe stato impensabile: centinaia di migranti, quasi tutti
provenienti dal maghreb, hanno forzato i blocchi posti all’esterno del Cpa per
raggiungere in corteo il centro storico all’urlo di <I class=spip>libertà,
libertà</I>. Accolti dai lampedusani con applausi i migranti si sono aggiunti
agli abitanti riuniti ancora una volta in piazza per manifestare contro la
costruzione di un’isola prigione, di un nuovo centro, riservato alle
identificazioni ed alle espulsioni (Cie). <I class=spip>Fratelli, la nostra
lotta è la vostra lotta</I>, tra l’imbarazzo del sindaco e lo spaesamento degli
stessi "fuggitivi", la giornata ha inequivocabilmente sancito la possibilità di
unire la battaglia fino ad oggi non poco contradditoria, degli isolani con la
voglia di libertà dei migranti.<BR><I class=spip>Come sempre fanno, sono usciti
a bere una birra in paese, sono liberi di entrare ed uscire dal centro, è tutto
sotto controllo</I>, l’imbarazzo del presidente del Consiglio per una situazione
ormai ingestibile è evidente. Di vero c’è che effettivamente non vi è alcun
obbligo di permanenza all’interno della struttura, anche se di fatto la
militarizzazione dell’intera isola costringe i migranti a rimanere stipati nel
centro. Le 48 previste come tempo massimo di permanenza nel cpa sono ormai
diventate mesi.<BR>La giornata si è conclusa con il ritorno dei migranti nel cpa
accompagnati da numerossissimi abitanti dell’isola. Al momento del rientro ecco
però che ancora una volta la tensione dovuta alla pressante presenza delle forze
dell’ordine si fa sentire. Alla richiesta di ingresso nella struttura per
verificare le condizioni dei migranti i militari e la polizia a presidio degli
ingressi hanno risposto come nel giorno precedente con
manganellate.<BR>Lampedusa non sembra cedere: <STRONG class=spip>no all’isola
prigione</STRONG>.</FONT> </P>
<P class=arttesto dir=ltr style="COLOR: #666666; TEXT-ALIGN: left"><FONT
color=#000000></FONT> </P>
<P class=spip dir=ltr><STRONG class=spip>Venerdì 23 gennaio</STRONG></P>
<P class=spip dir=ltr><STRONG></STRONG><BR>Quella di venerdì è stata una
giornata densa di tutte le contraddizioni accumulate in questi anni intorno alla
frontiera più spettacolarizzata d’Europa.<BR>A Lampedusa, nelle ultime
settimane, si sono registrati i momenti più infernali di sempre in quello che
alcuni ancora si ostinano a chiamare <I class=spip>centro di prima
accolgienza</I>, anche se mai lì i drammi e le sofferenze hanno avuto
tregua.<BR>Circa 2.000 persone sono stipate in una struttura che a mala pena è
in grado di contenerne 850. Le disposizioni del Governo, che ha deciso lo
spostamento in loco della commissione territoriale per la valutazione delle
domande d’asilo, impongono che l’attesa della risposta avvenga all’interno del
Cpa. Così il centro straripa di disperazione e gli abitanti dell’isola, per la
prima volta con tanta determinazione, prendono posizione contro questa
drammatica situazione: <I class=spip>"non vogliamo che Lampedusa si trasformi in
una nuova Alcatraz"</I>, dicono. In questo clima di rifiuto verso quel centro
disumano che ha contagiato ormai di disperazione tutta l’isola, la stessa
senatrice della Lega Nord, Angela Maraventano, divenuta vice-sindaco di
Lampedusa proprio grazie alle sue <I class=spip>sparate</I> anti-immigrati, è
uscita di scena, con la revoca della delega all’immigrazione dopo essersi
dichiarata favorevole all’apertura di un nuovo Cpt.</P>
<P class=spip dir=ltr>Il Viminale ha reso operativa la nuova struttura, un
centro di identificazione ed espulsione che ha aperto i battenti in mattinata.
<BR>Ma non è stato per niente facile metterlo in funzione: nonostante l’isola
fosse assediata dalla presenza di reparti delle forze dell’ordine in assetto
anti-sommossa, i blocchi e le manifestazioni, che hanno visto la partecipazione
di oltre quattromila abitanti, hanno impedito che i pullman carichi di 110
migranti diretti proprio nel nuovo centro arrivassero a
destinazione.<BR>All’interno della struttura hanno preso coraggio anche le voci
degli stessi <I class=spip>detenuti</I>, in decine sono riusciti poi ad uscire
dal centro e si sono uniti ai dimostranti che presidiavano l’esterno. <BR>Un
gruppo di manifestanti che protestava, all’arrivo del prefetto Morcone,
funzionario del Viminale a guida del Dipartimento immigrazione, è stato caricato
dalle forze dell’ordine: due ragazze ed un minorenne sono rimasti contusi.</P>
<P class=spip dir=ltr>Gli isolani chiedono di non trasformare l’isola in una
enorme prigione, rivendicano la vocazione di Lampedusa al turismo, rifiutano
l’idea di poter ancora ospitare i drammi di quel <I class=spip>lager</I> dicono.
Oggi, certo non senza contraddizioni, l’isola che raccoglie da anni la
disperazione, le sofferenze, le speranze per un futuro migliore di migliaia di
migranti stipandole in un centro di detenzione, ha scoperta cosa significa
indignarsi.</P>
<P class=spip dir=ltr> </P>
<P class=spip dir=ltr><FONT face=Arial size=2></FONT> </P>
<H1 class=arttesto dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left"><FONT color=#800080>L’Italia
e il regime euro-africano dei controlli migratori</FONT></H1>
<DIV class=arttesto dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left"><FONT face=Arial
size=2></FONT> </DIV>
<DIV class=arttesto dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left"><FONT face=Arial
size=2></FONT> </DIV>
<DIV class=arttesto dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left"><FONT face=Arial
size=2></FONT> </DIV>
<H2 class=arttesto dir=ltr style="TEXT-ALIGN: left"><FONT size=4>di Paolo
Cuttitta, Università di Palermo</FONT></H2>
<DIV class=arttesto dir=ltr>
<P class=spip>A occupare le prime pagine dei quotidiani e le copertine dei
telegiornali, nei giorni scorsi, non è stata l’ennesima storia di naufragi e di
morte ma la fuga di oltre mille stranieri dal centro di trattenimento di
Lampedusa, riempitosi all’inverosimile nel corso delle ultime settimane. Il
sovraffollamento della struttura è stato causato non tanto da arrivi più
numerosi del solito quanto dalla scelta del governo di non procedere più a
trasferimenti di stranieri (siano essi “semplici” immigrati irregolari o
richiedenti asilo) verso altri centri situati in Sicilia o in altre regioni
italiane. Intanto, in questi stessi giorni, il governo e il parlamento sono
impegnati su due fronti. Uno è quello della ratifica di un accordo con la Libia,
già approvato dalla camera (con il voto favorevole non solo dei deputati della
maggioranza ma anche di molti deputati del partito democratico) e ora in attesa
di approvazione da parte del senato (il voto è previsto entro il 31 gennaio).
L’altro fronte è quello di una nuova intesa con la Tunisia, la cui conclusione è
stata annunciata per martedì 27. La ratifica dell’accordo con la Libia (si
tratta dell’accordo di amicizia concluso dal governo Berlusconi nell’agosto
2008) dovrebbe consentire l’avvio delle attività previste da un precedente
accordo (concluso dal governo Prodi nel dicembre 2007), cioè l’impiego di
personale italiano in operazioni di pattugliamento e controllo delle acque
territoriali libiche, oltre che la fornitura di ulteriori mezzi tecnici e
finanziari che si sommeranno a quelli già forniti dall’Italia alla Libia negli
anni scorsi.</P>
<P class=spip>Del nuovo accordo con la Tunisia non si conosce il contenuto
preciso ma si sa che dovrebbe consentire i rimpatri dal territorio italiano dei
cittadini tunisini in posizione irregolare – rimpatri la cui esecuzione,
nonostante gli accordi di riammissione e di cooperazione di polizia già conclusi
nel 1998 e nel 2003, sembra attualmente incontrare delle difficoltà. Poiché
quasi due terzi delle circa 1.800 persone al momento trattenute a Lampedusa sono
cittadini tunisini, il nuovo accordo dovrebbe consentire, già nel corso di
questa settimana, di riportare il numero dei detenuti nel centro di prima
accoglienza di Lampedusa al di sotto dei limiti di capienza del centro stesso.
Poiché, inoltre, la quasi totalità delle persone che sbarcano a Lampedusa parte
dalla Libia, il pattugliamento delle acque territoriali libiche, che dovrebbe
cominciare dopo la ratifica dell’accordo dell’agosto scorso, dovrebbe, già nei
prossimi mesi, ridurre al minimo (se non azzerare) il numero di
sbarchi.<BR>Questi sono gli argomenti con i quali il governo giustifica le
intese con i due paesi nordafricani, annunciando come ormai prossima la fine
degli sbarchi clandestini.</P>
<P class=spip>Ora, in primo luogo è ragionevole dubitare che le cose possano
effettivamente andare nel modo descritto. Di intese con Libia e Tunisia ne sono
state fatte già diverse, in passato, e nessuna è mai risultata risolutiva nel
lungo periodo. In particolare Gheddafi è stato abilissimo a gestire la questione
dei movimenti migratori in modo tale da ottenere dall’Italia importantissime
contropartite politiche (l’impegno per la revoca dell’embargo UE, ottenuta nel
2004), tecniche (fornitura di mezzi e attrezzature per le proprie forze
dell’ordine, costruzione di infrastrutture) ed economiche (ai consistenti
investimenti italiani in Libia, moltiplicatisi negli ultimi anni, si aggiunge
adesso il pagamento delle riparazioni per i danni causati dall’occupazione
coloniale italiana) in cambio di promesse di maggiore impegno nella sorveglianza
delle frontiere libiche. Queste promesse sono state peraltro disattese dalla
Libia, o sono state onorate solo in modo parziale e discontinuo: così Gheddafi
ha potuto continuare a esercitare pressioni sull’Italia al fine di ottenere
ulteriori contropartite.<BR>Anche la Tunisia ha ricevuto notevoli benefici in
cambio della propria cooperazione con l’Italia. Ai cittadini tunisini sono state
riservate quote nell’ambito dei decreti flussi emanati annualmente per limitare
e regolare l’immigrazione legale di lavoratori stranieri in Italia. Inoltre sono
state aumentate le cifre stanziate dal governo italiano per i programmi di
cooperazione allo sviluppo in Tunisia. Infine, anche le autorità tunisine hanno
ricevuto ingenti contropartite tecniche. Tuttavia, se è vero che le partenze di
barche e gommoni dalle coste tunisine sono sensibilmente diminuite dal 2004 in
poi, è anche vero che esse non sono mai cessate del tutto, e forse sono
aumentate negli ultimi tempi (è di una settimana fa la notizia dell’ennesimo
naufragio, con decine di dispersi, a largo delle coste tunisine). Inoltre non è
diminuita l’immigrazione irregolare di cittadini tunisini, i quali adesso si
imbarcano dalle coste libiche, dove le autorità del loro paese li lasciano di
fatto liberi di recarsi. Infine le procedure per i rimpatri dei cittadini
tunisini non sono state sempre scorrevoli come le avrebbero auspicate i governi
italiani. Lo conferma proprio il fatto che si è ritenuto necessario giungere a
un nuovo accordo per aggiornare le intese precedentemente concluse al riguardo
tra Italia e Tunisia – intese rivelatesi, evidentemente, insoddisfacenti.<BR>Gli
sviluppi che potranno seguire alla ratifica dell’accordo con la Libia e alla
nuova intesa con la Tunisia sono – teoricamente e per grandi linee – tre.
Un’ipotesi è che i regimi nordafricani (più probabilmente la Libia) continuino a
temporeggiare, senza effettivamente dare luogo a interventi significativi, con
l’obiettivo di strappare nuove concessioni. Un’altra ipotesi è che si rafforzi
realmente (ma solo temporaneamente), in modo sensibile (ma non duraturo), la
cooperazione bilaterale già in atto sia tra Italia e Libia che tra Italia e
Tunisia, riducendo gli arrivi e rendendo più spediti i rimpatri dei cittadini
tunisini (non si parla in questo momento di ripristinare i respingimenti di
stranieri verso la Libia, ma non è da escludere che questi possano riprendere in
futuro). Tale risultato sarebbe seguito – in un futuro più o meno prossimo – da
nuovi allentamenti della cooperazione, funzionali ad alimentare nuove richieste
di contropartite da parte dei partner nordafricani. La terza ipotesi è che
l’Italia riesca effettivamente a chiudere in modo duraturo la porta del Canale
di Sicilia grazie alla piena collaborazione delle autorità tunisine e libiche.
Quale che sia, tra le tre, l’ipotesi destinata a verificarsi (la più verosimile
appare la seconda), sarà utile ricordare – mentre parlamento e governo
ratificano e firmano gli accordi con Libia e Tunisia – quale sia lo scenario nel
quale questi accordi si inquadrano, e soffermarsi su alcune tra le principali
caratteristiche del regime euro-africano di controllo delle frontiere e dei
movimenti migratori.</P>
<P class=spip> </P>
<P class=spip><STRONG class=spip>Natura dei regimi nordafricani</STRONG></P>
<P class=spip><STRONG></STRONG><BR>Se la Libia di Gheddafi è conosciuta da tutti
come una ferrea dittatura, la Tunisia di Ben Alì, ospitale luogo di vacanze per
tanti cittadini europei, si presenta sulla carta come una democrazia, offrendo
un’immagine più rassicurante. Anch’essa, tuttavia, svela all’osservatore appena
un po’ più attento e informato le caratteristiche di un regime totalitario. In
entrambi i paesi il controllo su stampa e televisione è rigoroso; la diffusione
di internet è osteggiata e i siti sgraditi al governo sono oscurati; le
associazioni critiche nei confronti del regime e le organizzazioni indipendenti
sono sottoposte a controllo capillare e i loro membri subiscono pressioni,
intimidazioni e diffamazioni; si verificano arresti arbitrari e detenzioni a
tempo indeterminato; i prigionieri vengono sottoposti a privazioni,
maltrattamenti e torture. <BR>Ancora più esposti agli arbitrii e agli abusi, in
questi paesi, sono gli stranieri. Soprattutto se presenti irregolarmente, essi
sono esposti a ogni tipo di sopruso da parte non solo delle autorità ma anche
della popolazione locale. Tristemente famose, tra l’altro, sono le condizioni
disumane di detenzione degli stranieri, così come le modalità dei rimpatri, che
hanno fatto centinaia di vittime. Per quanto riguarda, in particolare, i
profughi, vale la pena ricordare che la Libia non ha nemmeno firmato la
convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, mentre la Tunisia,
che invece ha aderito alla convenzione, non ha mai adottato una legislazione
organica, impedendo così nei fatti la piena applicazione delle disposizioni
della convenzione. In sostanza, anche i rifugiati riconosciuti come tali dal
Commissario delle Nazioni unite per i rifugiati sono esposti a violazioni dei
loro diritti fondamentali, incluso quello (connaturato al loro status) di non
essere respinti nel paese dal quale sono fuggiti.<BR>Collaborare con le autorità
di questi paesi e affidare loro il compito di fermare i movimenti migratori nei
loro territori significa mettere i destini di migliaia di persone nelle mani di
regimi privi di scrupoli.</P>
<P class=spip> </P>
<P class=spip><STRONG class=spip>Sovrarappresentazione dell’immigrazione
irregolare via mare</STRONG></P>
<P class=spip><STRONG></STRONG><BR>Diversamente da quanto lasciano intendere i
più diffusi organi di informazione e gli esponenti dei partiti politici
rappresentati in parlamento, le persone che arrivano in Italia irregolarmente
via mare sono un numero relativamente basso. Innanzitutto va considerato che la
stragrande maggioranza di coloro che risiedono irregolarmente in Italia non ha
fatto ingresso irregolarmente nel nostro paese ma vi è giunta con un regolare
visto e si è poi trattenuta irregolarmente oltre la scadenza del permesso di
soggiorno, mentre della minoranza che è entrata irregolarmente i più lo hanno
fatto eludendo la sorveglianza alle frontiere terrestri (e non a quelle
marittime). Ma soprattutto va notato che il numero di persone giunte
irregolarmente via mare (anche volendo prendere in considerazione la cifra del
2008, di quasi 37.000 persone, che rappresenta il picco massimo dal 2000 a oggi)
appare irrisorio se lo si confronta con quello (sette volte superiore nel 2007,
sei volte superiore nel 2008) fissato dai decreti flussi per gli ingressi
annuali per motivi di lavoro, o se lo si confronta con i quattro milioni di
stranieri che risiedono regolarmente nel nostro paese, o ancora se si considera
che il 70% delle persone che entrano irregolarmente nel territorio italiano ha
intenzione di raggiungere altri paesi europei, e che dunque la cifra degli
sbarchi andrebbe letta non in relazione al territorio e alla popolazione
italiani ma in relazione al territorio e alla popolazione dell’intera Unione
europea.</P>
<P class=spip> </P>
<P class=spip><STRONG class=spip>Alcuni effetti perversi del regime normativo
europeo</STRONG></P>
<P class=spip><STRONG></STRONG><BR>L’ultima affermazione – quella secondo la
quale il numero di persone che giungono irregolarmente in Italia va valutato in
relazione all’intera Unione europea e non solo in relazione al nostro paese – va
in realtà ridimensionata. Infatti la perversione delle normative comunitarie
vuole che, nel caso in cui uno straniero, dopo avere fatto ingresso nell’Unione
europea entrando irregolarmente in un dato stato membro, si trasferisca
successivamente e irregolarmente in un altro stato membro e sia lì fermato e
identificato, il primo stato membro nel quale egli ha fatto ingresso
irregolarmente debba farsi carico di riammettere sul proprio territorio e poi
espellere il soggetto in questione (e lo stesso stato dovrà assumersi anche
l’onere di esaminare la sua eventuale domanda di asilo, e quindi,
ipoteticamente, assicurargli la protezione che dovesse spettargli). È proprio
questo ad avere messo in difficoltà gli stati membri che si trovano alle
frontiere esterne dell’Unione europea. Soprattutto hanno incontrato difficoltà i
paesi più piccoli come Malta e Cipro, ritrovatisi negli ultimi anni a dovere
gestire procedure di asilo e, più in generale, di identificazione ed espulsione,
di un numero di stranieri elevatissimo in proporzione alla loro superficie, alla
loro popolazione e alle loro risorse.<BR>Se da un lato la normativa europea ha
di fatto causato il collasso dei sistemi di asilo a Malta e Cipro, con
conseguenze devastanti per i profughi, o addirittura ha contribuito a far sì che
la Grecia – altro paese di frontiera – adottasse criteri estremamente
restrittivi nel giudizio delle richieste di asilo, respingendo migliaia di
persone alle quali, in altri paesi europei, sarebbe stata certamente accordata
una qualche forma di protezione, dall’altro si è prodotto anche l’effetto di
deresponsabilizzare paesi come Malta nei confronti degli obblighi di salvataggio
in mare: spesso, infatti, le autorità dell’isola preferiscono ignorare il
passaggio di imbarcazioni dirette verso la Sicilia attraverso le acque
territoriali maltesi, preferendo lasciarle alla mercè delle acque, poiché
intercettarle significherebbe doversi fare carico dei destini delle persone a
bordo.</P>
<P class=spip> </P>
<P class=spip><STRONG class=spip>Alcuni effetti perversi del regime di
controllo</STRONG></P>
<P class=spip><STRONG></STRONG><BR>L’accresciuto impegno delle autorità
italiane, quello comunitario di Frontex (l’agenzia che coordina le attività dei
corpi di polizia degli stati membri per il controllo dei confini esterni
dell’Unione europea) e quello offerto dai paesi nordafricani può avere come
effetto principale, più che una riduzione dei movimenti migratori, un
cambiamento delle rotte. Nel corso degli ultimi anni, infatti, i percorsi dei
migranti si sono andati differenziando; le imbarcazioni percorrono vie meno
controllate ma anche più lunghe e quindi più esposte ai rischi di naufragio.
<BR>I tunisini, da quando nel loro paese sono stati inaspriti controlli e pene,
partono per lo più dalla Libia, anziché seguire il percorso marittimo più breve
dalle loro coste. Gli algerini, poi, che ancora pochi anni fa andavano in
Tunisia per salpare da lì alla volta della Sicilia, affrontano ora una
traversata ben più lunga e pericolosa, dalle coste del loro paese in direzione
della Sardegna. <BR>Gli asiatici, infine, hanno abbandonato il percorso
prevalentemente terrestre attraverso la Turchia e quello interamente marittimo
che dall’Oceano Indiano li portava (attraverso il Mar Rosso e il Canale di Suez,
a bordo di navi relativamente grandi) fin sulle spiagge calabresi o siciliane.
Dal 2003 la polizia italiana, in cooperazione con quella egiziana, sorveglia
infatti il Canale di Suez e rimpatria gli stranieri fermati. Ormai chi parte dal
sub-continente indiano deve raggiungere l’Africa sub-sahariana e poi dirigersi
in Africa nord-occidentale o in Libia, per salpare rispettivamente alla volta
delle Canarie o della Sicilia. Per potere rischiare la propria vita in mare,
insomma, si deve prima dimostrare di sapere sopravvivere al deserto.</P>
<P class=spip> </P>
<P class=spip><STRONG class=spip>La selezione dello straniero</STRONG></P>
<P class=spip><STRONG></STRONG><BR>L’immigrazione in Europa, in effetti, è un
fenomeno che si verifica sulla base di un complesso processo selettivo. Parte di
questa selezione avviene in mare o nel deserto, attraverso la morte per fame,
annegamento, assideramento o disidratazione di migliaia di persone ogni anno.
Come in un macabro torneo in cui migliaia di persone vengono eliminate al primo
turno, e al turno successivo si qualificano solo i sopravvissuti. Un’altra forma
di selezione è poi quella imposta dalle normative italiane per l’immigrazione
legale di lavoratori stranieri, che pone condizioni irrealizzabili a datori di
lavoro e lavoratori, costringendo di fatto questi ultimi a periodi (di durata
indeterminata) di soggiorno irregolare, in attesa di una qualche forma di
regolarizzazione. La condizione di irregolarità è in effetti un’esperienza che
ha dovuto vivere la stragrande maggioranza degli stranieri che oggi godono di un
regolare permesso di soggiorno in Italia. La stragrande maggioranza degli
stranieri regolarmente residenti in Italia, insomma, ha dovuto superare la prova
dell’irregolarità. Molti hanno dovuto superare anche la durissima prova della
detenzione negli appositi centri.<BR>Tutto ciò non vale, peraltro, solo per i
lavoratori, per i cosiddetti “migranti economici”. Anche i profughi devono,
ormai da tempo, sottoporsi ad analoghe forme di selezione. Quali sono, infatti,
i presupposti perché uno straniero ottenga protezione nell’Unione europea? Un
tempo bastava essere vittima di persecuzione, era sufficiente possedere i
requisiti minimi. Poi fu introdotto l’obbligo del visto, e da allora chi vuole
viaggiare regolarmente deve soddisfare i criteri per il rilascio del visto: deve
cioè dimostrare di avere un lavoro regolare, di disporre di determinate risorse
economiche. Ma ancora per un po’ di tempo il rifugiato poteva pur sempre
viaggiare irregolarmente su mezzi di linea, comprando un biglietto aereo o
ferroviario o di autobus o di nave anche se non aveva un visto di ingresso, e
magari nemmeno un passaporto. Anche chi arriva irregolarmente in un paese,
infatti, ha diritto a presentarvi domanda di asilo. Poi però sono state
introdotte le sanzioni ai vettori. E ora i vettori si rifiutano di prendere a
bordo chi non abbia il visto. Quindi è necessario viaggiare clandestinamente,
per lo più affidandosi a organizzazioni specializzate. Il viaggio, in questo
modo, può costare da dieci a trenta volte di più. Chi non ha i soldi non può
partire. E chi non ha il coraggio, la forza e la fortuna per affrontare e
superare un viaggio molto più lungo, faticoso e pericoloso, resta a casa o muore
lungo il cammino. Ma anche chi ha i soldi, e riesce a raggiungere il paese dove
desidera chiedere asilo, deve essere pronto a sopportare la detenzione per tutta
la durata della procedura d’asilo, mentre in passato poteva attendere l’esito
dell’istanza a piede libero. E in alcuni casi, se un tempo poteva aspirare allo
status di rifugiato, oggi vedrà la propria richiesta respinta o si vedrà
riconosciuta solo la protezione umanitaria, che garantisce un pacchetto di
diritti più limitato per numero, qualità e durata temporale rispetto allo status
di rifugiato. Chi intende chiedere asilo in Europa, insomma, deve essere – oltre
che fortunato – anche giovane, forte, relativamente benestante e molto
determinato. Paradossalmente, proprio i più bisognosi di protezione – i più
deboli e vulnerabili – sono destinati a rimanerne esclusi.</P>
<P class=spip> </P>
<P class=spip><STRONG class=spip>L’Europa e l’asilo</STRONG></P>
<P class=spip><STRONG></STRONG><BR>Se gestire qualche migliaio di richiedenti
asilo ogni anno può risultare difficile per paesi piccoli come Malta e Cipro,
non si può dire che l’Unione europea nel suo complesso soffra di simili
problemi. In Europa – dove le possibilità di fornire una protezione adeguata
sono assai maggiori – viene accolta solo il 10% della popolazione mondiale di
profughi. La maggior parte degli altri trova riparo in Africa o in Asia, cioè
negli stessi continenti nei quali si trovano le regioni e i paesi dai quali essi
fuggono. Se però si guarda alle cause di fuga, ci si rende conto che spesso esse
sono riconducibili all’azione dei paesi occidentali. L’impressionante esodo di
profughi iracheni rappresenta un esempio efficace. Quasi cinque milioni di
cittadini iracheni hanno dovuto abbandonare la propria residenza negli ultimi
anni. Circa la metà – i cosiddetti sfollati – sono rimasti in territorio
iracheno, mentre l’altra metà ha raggiunto un paese straniero. Di questi ultimi,
la stragrande maggioranza si è fermata nei paesi limitrofi: oggi in Siria una
persona su venti, in Giordania addirittura una persona su dieci è un profugo
iracheno. L’Europa, invece, offre protezione solo a poche migliaia di rifugiati
iracheni. L’Italia, addirittura, blocca quelli che riescono a raggiungere i
porti dell’Adriatico e li respinge in Grecia, da dove sono partiti e dove le
loro richieste d’asilo verranno respinte dalle autorità locali, che
determineranno il respingimento in Turchia degli interessati. Ecco un altro
motivo – oltre al desiderio di tanti iracheni di restare vicino la loro terra
d’origine – per il quale la maggior parte dei profughi iracheni si trova in
Siria e in Giordania. Eppure la gente fugge dall’Iraq a causa di una guerra alla
quale proprio l’Italia e tanti altri paesi europei – non certo la Siria, non
certo la Giordania! – hanno partecipato attivamente.</P>
<P class=spip> </P>
<P class=spip><STRONG class=spip>La retorica della cooperazione allo
sviluppo</STRONG></P>
<P class=spip><STRONG></STRONG><BR>Flotte di pescatori di frodo battono da anni
le acque dell’Africa nord-occidentale. Spesso sono pescherecci europei – bene
attrezzati e di grandi dimensioni – che fanno base alle Canarie, le isole
spagnole adagiate nell’oceano a poche decine di miglia dal continente africano.
Altri pescherecci europei, invece, sono autorizzati alla pesca da specifici
accordi con i paesi costieri, ma i limiti che tali accordi impongono (in
relazione alle modalità di pesca e alla quantità di pesce pescato) vengono
spesso ignorati. A pagare sono i pescatori della regione e, più in generale,
l’economia degli stati rivieraschi. <BR>Se le locali piroghe artigianali non
reggono la concorrenza delle flotte straniere – che peraltro, proprio attraverso
il saccheggio incontrollato dei mari, stanno ormai causando un’allarmante
riduzione della fauna ittica – non c’è da meravigliarsi del fatto che i
pescatori mauritani o senegalesi, ridotti in miseria, cambiano sempre più spesso
la destinazione d’uso delle proprie imbarcazioni, trasformandole in mezzi di
trasporto collettivo verso quelle stesse isole Canarie dalle quali salpano i
pescherecci europei. Ma coprire centinaia di miglia marine richiede parecchi
giorni di viaggio, e il rischio di essere fermati e costretti a tornare indietro
è elevato. Le acque al largo della Mauritania e del Senegal, infatti, sono
sorvegliate da pattuglie aeree e navali che operano sotto l’egida di Frontex. I
migranti si vedono così costretti ad avventurarsi in mare aperto, lungo percorsi
sempre più pericolosi, mentre i pescatori di frodo europei continuano ad agire
indisturbati. Questo esempio mostra quali siano le dinamiche di conservazione
delle disuguaglianze e degli squilibri tra Europa e Africa, a dispetto degli
impegni presi sin dal 1995 in ambito euro-mediterraneo (nel contesto del
cosiddetto “processo di Barcellona”) e ribaditi, al più ampio livello
euro-africano, dalle conferenze su migrazioni e sviluppo svoltesi negli ultimi
anni. <BR>Oltre a mettere in ginocchio la pesca dei paesi dell’Africa
nord-occidentale, l’Europa sovvenziona la propria agricoltura e impone dazi ai
prodotti agricoli africani. Anche nel settore agricolo, dunque, si impedisce a
quei paesi di seguire la via di un autonomo sviluppo economico. Nel frattempo la
quota del prodotto interno lordo dei paesi europei destinata agli aiuti allo
sviluppo resta ampiamente al di sotto di quanto previsto dalle dichiarazioni
d’intenti. Inoltre, una parte consistente degli aiuti effettivamente erogati
continua a essere destinata all’acquisto di beni prodotti dai paesi erogatori
(il cosiddetto tied aid: nel periodo 2002-2004, per esempio, il 45% degli aiuti
italiani alla Tunisia fu destinato proprio all’acquisto di prodotti italiani),
mentre il resto continua troppo spesso a essere drenato dalle oligarchie
corrotte dei paesi beneficiari. E poi ci si meraviglia che, da tali paesi, la
gente voglia emigrare.</P>
<P class=spip> </P>
<P class=spip><STRONG class=spip>Dal centro-sinistra al centro-destra:
differenze nella continuità</STRONG></P>
<P class=spip><STRONG></STRONG><BR>Alla luce di queste riflessioni generali, la
recente decisione del governo di non trasferire più da Lampedusa i nuovi
arrivati ma di trattenerli sull’isola fino al loro rimpatrio o fino all’esito
positivo della procedura di asilo appare un ulteriore tassello di una politica
miope, populista e gratuitamente afflittiva nei confronti dei migranti.<BR>Va
qui ricordato che la politica italiana in materia di controllo dell’immigrazione
irregolare è stata caratterizzata, dagli anni Novanta a oggi, da una sostanziale
continuità nell’operato dei diversi esecutivi. L’istituzione dei centri di
detenzione per stranieri e l’avvio della cooperazione con i paesi nordafricani
furono scelte compiute e ribadite dai governi di centro-sinistra guidati
rispettivamente da Prodi, D’Alema e Amato nel quinquennio 1996-2001. Sugli
stessi binari proseguirono il governo Berlusconi e il secondo governo Prodi,
seguiti dall’attuale esecutivo. Strumenti e obiettivi sono gli stessi. Nei
rapporti con i paesi nordafricani, l’unica differenza degna di nota è che,
mentre il governo Berlusconi procedette, dall’ottobre del 2004, a respingimenti
continuati verso la Libia, sospendendoli solo all’approssimarsi delle elezioni
del 2006 (in considerazione delle pesantissime critiche giunte dalla comunità
internazionale), nessun governo di centro-sinistra ha mai proceduto a
respingimenti verso la Libia né ha anche solo sostenuto l’opportunità di simili
operazioni.<BR>Tutti gli esecutivi hanno peraltro perseguito l’obiettivo di
intensificare la cooperazione con le autorità libiche al fine di impedire le
partenze di migranti dalle coste libiche. Questo obiettivo si pone in evidente
contraddizione logica con la scelta di non procedere a respingimenti verso la
Libia. Questi, infatti, sono considerati inammissibili perché gli stranieri, in
Libia, rischiano di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, oltre
che privati di altri diritti fondamentali. In particolare, poi, i profughi
politici rischiano di essere respinti dalle autorità libiche nei paesi dai quali
sono fuggiti e dove li attende la persecuzione o la pena di morte. Ma una
persona che desidera imbarcarsi dalla Libia alla volta dell’Italia potrà subire
le identiche conseguenze se verrà fermato dalle autorità libiche prima
dell’imbarco. Che sia respinto dall’Italia in Libia o che sia fermato già in
Libia, dalle autorità libiche (ma comunque per soddisfare le richieste delle
autorità italiane), la sua libertà e la sua stessa vita saranno ugualmente a
rischio. <BR>Se la scelta di trattenere a Lampedusa gli stranieri oltre la fase
di prima accoglienza sarà confermata ed effettivamente attuata (anche tramite
l’istituzione di un nuovo centro di identificazione ed espulsione contro la
volontà dei lampedusani) Lampedusa si trasformerà in una specie di Nauru
europea. Nauru è quella piccolissima repubblica insulare del Pacifico (la cui
superficie è, guarda caso, pari a quella di Lampedusa) che fu presa in affitto
dal governo australiano di John Howard per trattenervi gli stranieri
intercettati nell’Oceano Indiano fino al loro rimpatrio o a una decisione
positiva in relazione alla loro domanda di asilo. Anche Howard, come Maroni, si
giustificò dicendo che bisognava evitare che gli stranieri si disperdessero nel
territorio australiano e si sottraessero all’obbligo di
espulsione.<BR>L’infelice iniziativa dovrebbe rappresentare il (primo?) segno
distintivo di questo governo Berlusconi, come del precedente lo furono i
respingimenti in Libia. C’è da sperare che questa volta non debba passare più di
un anno prima che il governo sia costretto a tornare sui propri passi. Finora,
però, la debolezza dell’opposizione italiana e il silenzio delle istituzioni
europee fanno piuttosto temere il contrario.</P>
<P class=spip><FONT face=Arial size=2></FONT> </P>
<P class=spip><FONT face=Arial size=2></FONT> </P>
<P class=spip><A class=spip_in
href="http://www.meltingpot.org/articolo13875.html">Vai allo Speciale
Lampedusa</A> <STRONG class=spip>a cura di Melitng Pot Europa</STRONG></P></DIV>
<P class=arttesto dir=ltr style="COLOR: #666666; TEXT-ALIGN: left"><FONT
color=#000000 size=2>[ lunedì 26 gennaio 2009 ] <A
href="http://www.meltingpot.org/articolo13875.html"><FONT
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